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Sposarsi (parte terza) quando sei la mamma della sposa

Le cose belle accadono.

Di continuo.

A volte si susseguono con una tale frequenza che ti sorprendi a domandarti se ce la farai a reggere tanta emozione.

E poi capisci che sì, che non solo ce la fai, ma trovi il modo di starci così bene dentro, che ti rimane il rammarico quando finiscono.

Dopo la parte prima di Sposarsi in cui vi ho raccontato del matrimonio di mia nipote Alessandra con Pietro, e poi della parte seconda di Sposarsi in cui a salire all’altare è toccato a mio figlio Samuele con Benedetta, l’amore della sua vita, ieri si è sposata la mia primogenita Sara con Fabrizio, coppia dal cuore grande quanto il loro sorriso.

E io che credevo ormai di averci fatto l’abitudine a certe emozioni, io che credevo di aver imparato ad addomesticare il mio cuore, a tenerne sotto controllo i battiti, a controllare il respiro, in realtà mi sono resa conto che non ero preparata a niente.

Non ero preparata a vedere mia figlia percorrere la navata della chiesa al braccio di suo fratello, per provare a colmare un’assenza inesorabilmente incolmabile.

Non ero preparata a guardarla e rendermi conto che una figlia, alla fine, è una donna meravigliosa che cammina a passo spedito verso il suo futuro in costruzione, accanto all’uomo che ha scelto come compagno di vita.

Da quando è mancato, ho raccontato più volte di quanto fatichi a rassegnarmi a vivere senza la presenza di mio marito accanto a me, che nei miei sogni, davo per scontata.

Ma non mi ero mai soffermata a pensare alla sua assenza come padre e alla fatica che i miei figli affrontano nella quotidianità, ma soprattutto in giorni come questi, in cui basta un attimo per smarrirsi.

Non mi ero mai chiesta come fanno a sopravvivere a questi momenti di gioia senza lasciarsi sopraffare dalla tristezza e dal dispiacere.

Come fanno a colmare un’assenza che certi giorni somiglia tanto a un precipizio dal quale si fatica a risalire.

E mentre mi domandavo tutto questo, è stato come se qualcuno mi avesse invitato a spostare lo sguardo, ed è stato allora, che li ho visti.

Tantissimi, bellissimi, profondamente commossi, incredibilmente emozionati.

Gli amici.

Gli amici di ieri, quelli conosciuti tra i banchi di scuola, quelli che hanno attraversato accanto a loro, innumerevoli giorni impregnati di preoccupazioni e svago.

Gli amici conosciuti per caso, quelli acquisiti, quelli di tutti i giorni e quelli arrivati da lontano per la gioia di condividere quel giorno da consegnare alla memoria per sempre.

Gli amici che si preoccuperanno di aggiustare le cose quando si romperanno in mille pezzi, che penseranno a sorreggerli quando vacilleranno,  a  ricordare quella promessa che ha una durata eterna, prendendosi cura di loro nei giorni a venire.

Ecco l’assenza che si fa presenza, ho pensato.

Ti prometto che non presterò attenzione al mio cuore  a pezzi,
che non sarò triste del tutto,
perché la scia di amore che hai lasciato dietro di te,
sarà così luminosa da accompagnarci per il resto delle nostre vite.

Ci sono dolori che non fanno male, anzi, insegnano a guardare il mondo con occhi diversi, a cogliere ciò che prima sfuggiva, a vivere e a godere dell’attimo, a rallentare fino a sentire il battito del cuore.

L’assenza è la più forte presenza,
coloro che non camminano fuori,
vivono dentro.
Antonio Cuomo

Amiche vi lascio ancora una volta con tante belle foto che raccontano di noi, e di quanto ce la stiamo mettendo tutta per difendere il nostro fazzoletto di felicità.

Oggi voglio salutarvi con un bellissima poesia di Pablo Neruda, che dedico a chiunque di voi, abbia un’assenza nel cuore che fatica a colmare.

Io ringrazio i miei figli di esistere, e i compagni di vita che si sono scelti, per amarmi con lo stesso amore.

SE MUOIO SOPRAVVIVIMI
Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura
se tu risvegli la furia del pallido e del freddo,
da sud a sud alza i tuoi occhi indelebili,
da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra.
Non voglio che vacillino il tuo riso né i tuoi passi,
non voglio che muoia la tua eredità di gioia,
non bussare al mio petto, sono assente.
Vivi nella mia assenza come in una casa.
È una casa sì grande l’assenza
che entrerai in essa attraverso i muri
e appenderai i quadri nell’aria.
È una casa sì trasparente l’assenza
che senza vita io ti vedrò vivere
e se soffri, amor mio, morirò nuovamente.

Un blog per la risalita

Pubblicato su confidenze N. 50 Novembre 2020

Storia di Come, Quando e Perché è nato questo blog

Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve.
Anaïs Nin

L’idea è arrivata all’improvviso durante uno dei pomeriggi sonnolenti e pigri del lockdown. Per una persona attiva come me, sempre in movimento, con tanti pensieri per la testa e mille attività in corso, fermarsi improvvisamente era stato molto più faticoso di quanto non volessi ammettere.

Una famiglia che non faceva altro che chiedere di nutrirsi, un frigo sempre vuoto, una casa che non ne voleva sapere di rimanere pulita per più di due ore consecutive, due gatti, un cane e una tartaruga da accudire, stavano diventando una prigione dalla quale non riuscivo più a evadere.

Nonostante tutte queste incombenze di cui occuparmi, mi rimaneva ancora del tempo libero durante la giornata che sentivo il bisogno di riempire in qualche modo. E così un pomeriggio dopo aver pulito casa, ordinato la spesa, fatto un quantità esagerata di lavatrici, ho messo mano al PC per dedicarmi  finalmente a qualcosa che ho sempre amato fare: scrivere.

All’inizio non sapevo bene da che parte cominciare, di solito il tempo che dedico alla scrittura è un tempo rubato, sottratto alla mia famiglia, vissuto sempre con tanti sensi di colpa, e invece quel giorno lì ho capito che mentre ciascuno si dedicava senza rimorsi alle proprie piacevoli attività, pure io volevo provare questa bella sensazione.

Il lockdown aveva fatto scaturire in me tanti pensieri, tante riflessioni che avrei voluto condividere con qualcuno ma non sapevo con chi e in che modo.

Poi mi è venuta un’idea.

Proprio mentre me ne stavo sul divano comodamente seduta, ho immaginato che come me chissà quante altre donne si ritrovavano a godere di quel tempo regalato, domandandosi cosa farne.

Avevo seduto accanto mio figlio che sonnecchiava e gli ho chiesto: “Come si fa ad aprire un blog?”

Ha aperto un solo occhio e guardandomi pigramente ha risposto: “Usa wordpress che è semplice e per te va bene”.

Ignorando l’ultima parte della frase che stava evidentemente a significare che non sono più così giovane e brillante da potermi permettere attività al PC troppo complicate, ho ascoltato le brevi e concise istruzioni che mi ha dato e senza scoraggiarmi ho cominciato a cimentarmi.

Inizialmente non avevo ben chiaro a chi mi stessi rivolgendo e di cosa volessi esattamente parlare, così mi sono lasciata un po’ trasportare dal bisogno di dare voce ai pensieri che mi passavano per la testa.

A poco a poco ho capito che ciò che scrivevo in verità era rivolto soprattutto alle donne che come me si sentono in colpa ogni volta che si dedicano del tempo, alle donne che non si siedono mai e se lo fanno, stanno in pizzo alla sedia pronte a scattare in piedi se qualcuno dei familiari avanza una richiesta, donne che siedono solo per confortare qualcuno, per prendere in braccio un cucciolo d’uomo o di animale, o ancora per stare a una postazione di lavoro otto ore al giorno.

Le ho invitate a raccontarsi e ad ascoltarsi tirando fuori le emozioni, i mal di pancia, i giorni che funzionano e quelli che sembrano rotti e da buttare, quelli che volano e  quelli interminabili.

Insomma ho cominciato a scrivere e non mi sono più fermata.

A volte mi chiedevano “Ma di cosa si parla nel tuo blog?”

E io rispondevo : “Di ciò di cui le donne vogliono parlare: di ricette, di serie tv, di film, di libri, ma anche di amicizia e di amore e di fatica, di desiderio di cambiamento, di bisogni, aspettative, rimpianti e rimorsi, tutto condito con un pizzico di curiosità e leggerezza”.

Per la prima volta nella mia vita ho scoperto la dimensione della scrittura che prediligo, scrivere per dare voce ai miei pensieri, alle mie emozioni, alle mie storie e offrire a chi mi legge l’opportunità di rispecchiarsi in esse, per decidere a loro volta di raccontarsi e di scoprire il loro valore.

Ma nel momento in cui cominciavo a credere in questo bellissimo progetto, mio marito già gravemente malato da tempo, veniva a mancare nel giro di pochissimo tempo, lasciandomi nel dolore e nello sgomento.

Non voglio raccontare di ciò che significa perdere l’amore della propria vita, aver condiviso per oltre trent’ anni pensieri, parole, progetti, aver riso e pianto e litigato e fatto pace e guardato infinite serie tv e aver camminato su spiagge deserte d’inverno o dentro il traffico caotico di Milano e pensare di non poterlo più fare.

Tutto questo ti viene lasciato solo sottoforma di ricordo, ciò che hai avuto la fortuna di vivere resta nel cuore, nel corpo, nella mente, ma ciò che non hai vissuto non ti sarà più concesso di vivere.

Dopo il trambusto del funerale, seguito dalla lentissima ripresa post Covid, ho riaperto il mio blog che avevo messo in stand by e ho creato una nuova pagina dedicata a mio marito dove ogni tanto sentivo il bisogno di lasciar cadere qualche frammento di memoria a volte meraviglioso e a volte lacerante.

La vita riconquistava adagio il suo ritmo e a me mancavano quei giorni tutti uguali dei quali ci lamentiamo spesso, quella quotidianità che ci fa credere che non potrà mai accadere nulla di male finché tutti i giorni saranno uguali a se stessi.

Certe mattine mi svegliavo, guardavo la sua foto che tengo sul comodino e mi dicevo che dovevo alzarmi da quel letto almeno per i miei figli che non meritavano altro dolore oltre a quello già vissuto.

Ho sentito il bisogno di condividere quanto mi sentissi sola e infelice, ma anche quanto prepotente sentivo dentro di me l’urgenza di andare avanti con la mia vita seppur mutilata da questa perdita.

E le persone, tutte quelle persone che non ero pronta a rivedere, perché temevo che mi spezzassero il cuore per i ricordi che evocavano, hanno cominciato a darmi forza, speranza, spazio, stando a un passo da me, ma sempre accanto per tutto il tempo necessario.

Inconsapevolmente sono diventata strumento di coraggio per chi sta attraversando un lutto doloroso.

“Vorrei avere la tua fede, la tua serenità, la tua forza” mi scrivevano.

In realtà non sanno che attingo dal loro affetto il senso del mio andare avanti, che finché loro crederanno che ce la posso fare, ci crederò anch’io.

Continuo a scrivere per curare i miei giorni malinconici e sentirmi meno sola, scrivo per chi sta attraversando un momento difficile o per chi semplicemente trova piacere nel leggermi, perché mi sono accorta che alla fine  i sentimenti che proviamo sono simili e condividerli alleggerisce la fatica del vivere quotidiano.

Ho imparato ad anteporre la scrittura ai doveri familiari, perché ho capito che alla fine nessuno muore di fame e se le magliette non sono stirate vanno bene lo stesso e la voce lamentosa che sentivo con insistenza per avere tutto e subito non veniva da fuori, ma era dentro di me.

Mi hanno regalato una poesia dopo la morte di mio marito che rileggo ogni volta che sento il bisogno di una spinta e c’è una frase che amo particolarmente:

E impari a costruire tutte le tue strade su oggi
perché il terreno di domani è troppo incerto per fare piani
ed i progetti futuri hanno modo di cadere a metà del volo.
E impari che puoi davvero sopportare, che davvero sei forte

e che davvero hai un valore
e impari e impari, con ogni addio, impari.
Dopo un po’ – Veronica A. Shoffstall

A volte pensiamo con presunzione che il nostro futuro sia già definito e chiaro, io credevo di invecchiare accanto a mio marito e di vedere crescere con lui i nostri nipoti. In realtà nulla del domani ci appartiene e qualche volta i sogni si spezzano.

Tocca allora ricominciare, trovare nuove strade da percorrere, rimettersi in gioco anche se con sgomento e un po’ di paura.

Ma la vita è anche questa cosa qui.

C’è una forza dentro ciascuno di noi, che ci spinge a mettere un piede dopo l’altro, anche se pensavamo di non essere più in grado nemmeno di stare in piedi.

Che sia un blog, un corso di pittura, un salotto letterario, un gruppo di cammino , un impegno di volontariato o qualunque cosa  sentiamo il desiderio di sperimentare, vale la pena provarci perché sono tutte mani tese che ci aiutano a risalire da quel pozzo di infelicità nel quale per tante ragioni siamo precipitate. 

Ognuno trova un nuovo spazio dentro il quale stare senza che faccia troppo male e va avanti, in cerca di una nuova ragione di vivere.

Quando la scrittura ha una funzione catartica

Marisa Saccon intervista Giovanna Fumagalli 04/07/2020

Oggi sono davvero contenta di intervistare Giovanna Fumagalli Biollo , una grande amica che ho conosciuto sedici anni fa in un forum di mamme allattone. Giovanna scriveva dei post assolutamente meravigliosi che sapevano attirare l’attenzione e incantare. È stato amore a prima vista.

Da allora, Giovanna di strada ne ha fatta. Non scrive solo nei forum. La sua immensa dolcezza che è anche la sua forza, si riflette nella sua scrittura che, per lei (e si capisce), è davvero catartica.

Così come per Giovanna, anche per molti di noi la scrittura è terapeutica, ci aiuta nel nostro percorso di consapevolizzazione. A volte raccontare gli eventi che ci hanno segnato, ci aiuta a comprenderli meglio e a metabolizzarli.

È questa la funzione catartica della scrittura raccontata da una splendida autrice come Giovanna Fumagalli Biollo.

Giovanna Fumagalli nasce 54 anni fa in uno spettacolare verdissimo angolo della Brianza, e lì decide di viverci per sempre, prima con la sua famiglia d’origine e poi con il marito e i loro tre splendidi figli.

Nella sua prima vita ha lavorato come agente di viaggio, nella seconda, per scelta, si è cimentata nel faticoso mestiere di mamma e infine, nella terza parte, complici il sostegno e l’incoraggiamento di Davide, suo marito, con il quale ha seguito per oltre vent’anni giovani coppie nel loro percorso di crescita, ha intrapreso un percorso di studi che l’ha portato a diventare una counsellor, professione meravigliosa che svolge tutt’ora con soddisfazione.

Giovanna, in tutto questo, che ruolo ha avuto la scrittura nella tua vita?

Sempre, come un fil rouge che ha fatto da sfondo a tanta strada percorsa, la scrittura mi ha tenuto costantemente compagnia. Io dico sempre che scrivo da quando ho imparato a scrivere. In principio scrivevo per me stessa, e qualche volta concedevo di leggermi alle persone più care. E’ stato soltanto nel 2003 che, per la prima volta, ho deciso di partecipare a un concorso letterario. Mi sono classificata terza ed è stato a partire da quel momento, che ho cominciato a credere che a qualcuno facesse davvero piacere leggere i miei scritti. Non mi sono più fermata.

Quindi quella è stata la partenza. Qual è stato il momento che ha fatto da spartiacque dallo scrivere per te stessa o solo per pochi, a scrivere per pubblicare?

Fino a quel momento, avevo raccolto tante soddisfazioni. Poi nel 2006, complice la mia amica Marisa, ho iniziato a collaborare con il settimanale Confidenze scrivendo storie che raccontano testimonianze di vita che noi collaboratori raccogliamo per la redazione.

Le testimonianze di vita che hai pubblicato su Confidenze sono caratterizzate da una scrittura emozionante e dolce, dal tuo modo di raccontare gli eventi che incanta il lettore e lo tiene ancorato alla lettura fino alla fine. Che cosa è successo poi?

Quando mi sono resa conto che la scrittura stava diventando un potentissimo strumento di comunicazione, ho sentito il bisogno di perfezionarmi frequentando due corsi di scrittura creativa che ancora oggi ricordo come esperienze preziose perché mi hanno decisamente aiutato a migliorare tecnica, stile e contenuti dei miei scritti.

Puoi raccontarci qualcosa di più di questi corsi di scrittura creativa? Li consiglieresti a chi ama scrivere?

Comincio da una frase che ho raccolto proprio durante uno dei laboratori che ho frequentato. Dice così “narrare vuol dire raccontare storie, ma fare solamente questo non è abbastanza per essere uno scrittore. Soltanto una storia non basta per creare un racconto. Infatti la storia è un semplice susseguirsi di avvenimenti, una qualsiasi vicenda che per qualche motivo appare significativa allo scrittore che sente l’urgenza di raccontarla; il racconto è invece cosa molto più elaborata. Il racconto è la forma che lo scrittore ha dato a quella serie di fatti. È la bravura di chi scrive che permette al lettore di vivere ciò che sta leggendo. La differenza tra storia e racconto è la stessa che passa tra un bel pezzo di legno grezzo e un mobile finemente cesellato da un mastro falegname”. Se ho una storia da raccontare, se ho un bellissimo pezzo di legno grezzo dentro di me, ma non possiedo gli strumenti per farne un mobile meraviglioso, è davvero un peccato, perché significa che nessuno potrà mai godere della mia storia. Questo ha significato per me frequentare laboratori di scrittura, mettermi in gioco, imparare, confrontarsi, ma soprattutto trovare il coraggio di accettare le critiche, i consigli, i suggerimenti per arrivare meglio al lettore.

Davvero una bella esperienza. Poi, strada facendo ti sei dedicata ad altri progetti ma è solo grazie alla tua capacità di comunicare, che hai pubblicato dei libri inerenti all’attività di counsellor che hai svolto con Davide, tuo marito. Ci racconti un po’ di queste pubblicazioni?

Volentieri.

Nel 2010 ho pubblicato con Il Seminatore, il mio primo libro 100 Giorni Con Lo Spirito,

Nel 2013 ho scritto a quattro mani con mio marito Imparare a viverti accanto – I primi passi del matrimonio dedicato alle giovani coppie di sposi, pubblicato da Effatà.

E sempre con questa casa editrice alla fine di Luglio 2020, uscirà la nostra ultima fatica “Scoprirsi genitori – Rinnovare la coppia all’arrivo di un figlio”.

Ma è stato soprattutto durante il percorso di studi intrapreso per diventare counsellor sistemico relazionale che ho finalmente capito quale fosse il mio posto nel mondo. Avere come obiettivo il miglioramento della qualità di vita delle persone, sostenere i loro punti di forza, offrire uno spazio di ascolto e di riflessione, è qualcosa che ho sempre desiderato fare.

E ancora una volta, la scrittura ti ha aiutato in questo tuo progetto di vita…

E ancora una volta la scrittura mi ha offerto l’occasione per realizzare questo desiderio. Finalmente ad Aprile 2020 ho aperto un blog.

Il tuo blog ha un nome molto accogliente: Comodamente sedute. Che cosa ci racconti di questo spazio che hai aperto nel web?

Comodamente sedute è un angolo confortevole dove potersi raccontare, uno spazio creato appositamente per sole donne dove nessuna parola cadrà nel vuoto.

Dico finalmente perché ho capito dopo tanto tempo, quale fosse il bisogno che inseguivo da tutta la vita: scrivere per dare voce ai miei pensieri, alle mie emozioni, alle mie storie e offrire a chi mi legge l’opportunità di rispecchiarsi in esse, per decidere a loro volta di raccontarsi e di scoprire il loro valore. E come se avessi sempre ricercato questa dimensione nella scrittura e finalmente l’avessi trovata.

Quindi la scrittura per te ha rappresentato un mezzo per trovare la tua vera dimensione e per realizzare la tua natura e i tuoi progetti. Un’ultima domanda, Giò. Cosa pensi della scrittura catartica? In che modo per te lo è stata? In che modo ha aiutato Giovanna Fumagalli?

La scrittura catartica intesa come il racconto di eventi, emozioni, storie personali anche difficili, mi ha aiutato spesso a non accumulare disagio o stati d’animo dolorosi, permettendomi di analizzare a fondo i miei vissuti, di comprendere meglio l’effetto e l’intensità di ciò che mi stava accadendo.

È un modo di esprimersi che serve a rielaborare esperienze difficili, a cercare di trovarne un significato. E’ terapeutico e liberante. Dopo aver messo per iscritto un’emozione, mi pare di poterla lasciare andare, perché le ho concesso il tempo che meritava. Personalmente lo considero l’unico canale possibile per trovare un senso alla fatica del vivere quotidiano.

Mi piacerebbe che questa chiacchierata continuasse ancora ma il nostro tempo è scaduto.

Stamattina ho letto alcuni post nel blog di Giovanna e penso che chi sa emozionarsi mentre scrive, emoziona anche gli altri.

La scrittura di Giovanna è senza dubbio una scrittura affabulatoria che incanta, una scrittura che riesce a raccontare con dolcezza e un pizzico di magia, gli eventi della vita, anche quelli più tragici, come se fossero favole.

E si sa, a volte le favole sono agrodolci e hanno epiloghi tristi, ma portano con sé una morale, danno un senso anche ai fatti più incomprensibili.

Non è sempre necessario che le favole abbiano il lieto fine. Anche se, più spesso di quanto pensiamo, abbiamo bisogno di credere al Principe Azzurro, a Babbo Natale e alle streghe.

E lo scrittore che sa ammaliare, ci apre le porte incantate verso queste dimensioni, consentendoci, di tanto in tanto, di sognare, di credere, di sperare.

La scrittura catartica è salvifica e si trasforma, spesso e volentieri, in una lettura catartica.

Una lettura di cui abbiamo bisogno, una lettura che sappia distrarci, rassicurarci, farci sognare. Che sappia raccontarci di sentimenti ed emozioni in cui possiamo rispecchiarci (e questo ci fa sentire meno soli), e che ci parli di eroi in cui possiamo identificarci.

Fosse solo per un giorno. Fosse solo per un’ora. Potrebbe bastarci.