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L’amore non si butta: ricominciare a ogni età

Accettare che non possiamo sapere cosa ci riserva il futuro, ma che possiamo adoperarci affinché somigli il più possibile a ciò che avevamo sognato, salvo essere pronti ad adattarci nel caso qualcosa andasse storto. Perché quello storto lì, a volte, è molto più dritto di quanto non avremmo mai immaginato. Sarà una vita zoppa, manchevole, amputata, ma sarà pur sempre vita, sarà pur sempre quel contenitore svuotato di tanta bellezza dove, per assurdo, si è creato un nuovo spazio da riempire con altrettanto splendore.
L’ amore non si butta

Nelle scorse settimane ho avuto il privilegio di presentare il mio libro “L’ amore non si butta”  a due gruppi davvero speciali: Allenalamente di Olgiate Molgora e lo Spazio Anziani di Montevecchia.

Questi gruppi sono composti da persone anziane che si ritrovano una volta la settimana per trascorrere insieme del tempo di qualità e combattere la solitudine.
Sono coordinati dalla bravissima Silvia Tricarico, operatrice sanitaria che con grande passione, è riuscita a creare uno spazio accogliente, dove ci si sente ascoltati, compresi e valorizzati.

Durante il nostro incontro, ho condiviso la mia esperienza di lutto con loro raccontando di come, dopo la morte di una persona cara, sia possibile ritrovare la forza di vivere, anche quando sembra che il mondo intorno a noi si stia sgretolando.
Ma quando mi sono messa in ascolto delle loro testimonianze, così intense e commoventi, mi sono resa conto di quanto sia ancora più faticoso provare a ricominciare quando l’età è avanzata.

Il lutto è sempre un tema delicato da affrontare, ma lo è ancor di più se riguarda persone anziane che spesso devono fare i conti con la perdita di un amore dopo una vita intera condivisa o addirittura di un figlio venuto a mancare ancora giovane.
Per loro, il lutto non è soltanto la morte di una persona amata, ma anche la fine di una parte di sé.
Molti fanno fatica a parlare del proprio dolore per tante ragioni.
Perché la generazione a cui appartengono ha insegnato loro che la sofferenza è un fardello di cui non potersi lamentare, perché non è opportuno appesantire i propri cari con la tristezza, e perché è meglio tacere piuttosto che correre il rischio di non essere compresi.

Quell’assenza, li priva anche di una routine rassicurante, fatta di piccoli gesti quotidiani, di parole gentili e rimproveri affettuosi, sempre colmi della presenza dell’altro. E quando tutto questo scompare, la solitudine diventa insopportabile.
Si fa fatica a guardare avanti quando tutto richiama il passato, quando i ricordi sono così lucidi e vivi che ti pare di viverci dentro ancora e ancora come le scene di un film che non smetteresti mai di riguardare.
Ti dicono di andare avanti a piccoli passi, ma ogni passo è una fatica enorme.
Cosa rimane?
Rimane una visita quotidiana al cimitero, nel tentativo di trovare un po’ di conforto,  una foto sul comodino, alla quale confidare segreti che in vita non si era mai osato raccontare e dispiacersi un po’ per questo e poi rimangono loro, i ricordi, che non solo danno un senso a ciò che è stato, ma aiutano a mantenere vivo un legame che ha cessato di esistere.

E quando comincia un nuovo giorno, si torna nell’orto, si va a trovare i nipoti, si fa la spesa, si esce per una passeggiata, perché alla fine ricominciare non significa riempire completamente il vuoto lasciato dalla perdita, ma andare alla ricerca di nuove modalità che insegnino come convivere con il dolore: concedersi spazio per la tristezza e, allo stesso tempo, permettersi di riconoscere e accogliere i momenti di serenità che ancora possono arrivare.

Pensa un po’: mi sono presentata a loro con il mio libro tra le mani e la pretesa di raccontare qualcosa, e me ne sono tornata a casa con le tasche piene di saggezza e il cuore colmo di una tenerezza infinita e di un’immensa gratitudine.

Accade anche questo quando parlo del mio libro.

L’ amore non si butta

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Tradire, un po’ come morire ma anche rinascere

Erano mesi che mi trascinavo una brutta cervicale.

All’inizio l’ho ignorata, poi trascurata, poi subita e solo quando mi sono resa conto che se non l’avessi accettata e curata non mi avrebbe dato tregua, mi sono arresa.

E così tra un antidolorifico e un antiinfiammatorio, qualche seduta di fisioterapia e una mezza dozzina di cuscini per capire quale fosse il più adatto, ho cercato di venirne fuori.

Poi la mia amica Alfonsa mi ha parlato della ginnastica posturale e ho pensato: “Perché no?”

La ginnastica posturale è un insieme di esercizi che hanno lo scopo di migliorare la postura, ma anche la mobilità ed è molto efficace per la gestione di dolori articolari e muscolari. Insomma un modo per prenderci un po’ cura del nostro corpo con dolcezza.

Devo ammettere che ho iniziato solo da qualche settimana ma sento già i benefici, la nostra insegnante Evelina è molta brava, attenta e rispettosa dei tempi e delle difficoltà di ciascuno partecipante e il gruppo è davvero accogliente 🥰🥰

Insomma fino a qui tutto bene.

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Arrivederci al prossimo anno

Si concludeva sempre con questa frase il video che mio fratello Maurizio preparava ogni anno in occasione del raduno parenti che avveniva la sera della vigilia di Natale.

Era un momento meraviglioso, perché in pochi minuti tutti insieme riavvolgevamo in qualche modo la pellicola del nostro ultimo anno trascorso e ce lo gustavamo come un film a lieto fine.

Ricordo di aver pensato spesso a quanto ero stata fortunata, alla vita splendida e ricca di amore che avevo ricevuto in dono e quello per me era il più grande dei regali.

Poi è mancata la mia mamma, e dopo qualche anno il mio papà e infine mio marito, e il desiderio di ripensare all’anno trascorso si è fatto via via meno impellente.

Il dolore qualche volta offusca il desiderio di guardare al passato e di andare avanti verso il futuro, di ricominciare a progettare, a sperare, a sognare e tutto questo rende difficile il vivere, per noi, ma soprattutto per chi ci vuole bene, perché fatica a trovare la maniera giusta di restarci vicino.

Per questo voglio chiudere quest’anno raccontandovi una lezione importante che ho imparato e cioè che dal dolore possiamo davvero risollevarci e trovare un buon modo per andare avanti che non è sopravvivere, ma continuare a vivere intensamente.

Perché questo accada però dobbiamo permettere a chi ci sta accanto di continuare a esserci con costanza e affetto, ma soprattutto dobbiamo coltivare nel nostro cuore il desiderio e l’impegno di ricominciare, facendo della nostra vita qualcosa di meraviglioso, nonostante tutto.

Perciò arrivederci al prossimo anno amiche care, con l’augurio che possiate riempirlo di progetti, incontri e occasioni di essere felici.

Io sto progettando un cammino di inverno, è un’impresa a cui tengo molto che naturalmente non mancherò di raccontarvi al mio ritorno.

E voi? A cosa state pensando per il futuro?

Vi lascio con una bellissima storia natalizia che ha proprio il sapore della speranza, parola a me molto cara.

IL PRIMO NATALE DELLA TUA VITA

Pubblicato su Confidenze n. 1 Gennaio 2022

Lo guardo e mi perdo dentro un mare di amore che non finisco mai di domandarmi da dove provenga.

Il giorno prima sei una persona qualunque, con una vita apparentemente completa e realizzata, con un uomo che hai scelto di amare e credi che ti basterà per tutta la vita, un buon lavoro e una vita sociale appagante.

Poi una mattina un test di gravidanza racconta una storia nuova, scritta a quattro mani, una storia che non avremmo mai creduto si potesse avverare.

Io e Simone stiamo insieme da una vita, prima fidanzati e poi conviventi e fino a qualche mese fa a un figlio non pensavamo proprio.

Poi il giorno in cui ho compiuto 34 anni, è accaduto qualcosa dentro di me, come la consapevolezza di un orologio interno che instancabilmente e inesorabilmente muoveva le su lancette in avanti, senza fermarsi mai.

Ho pensato che a questa età mia madre aveva già avuto me e altri due fratelli al seguito e che sì, ero giovane, e sana, e avevo un uomo che mi amava, ma che non sarebbe durata per sempre.

“Cosa ne pensi di un figlio?”

Avevo chiesto a Simone.

“Un figlio? Ci sto pensando da tanto ma non osavo parlartene, volevo che venisse da te. Insomma sei tu che devi metterti in gioco più di me…”

E’ stato in quel momento lì che ho capito che sarebbe stato un peccato non provare. Il problema è che ci ha messo un po’ ad arrivare, parliamo di mesi per carità, ma sono sembrati eterni, ogni ciclo mestruale era una profonda delusione, un fallimento, una fatica da accettare.

Simone mi consolava, cercava di sdrammatizzare dicendomi che lui e io apparteniamo a una generazione abituata ad ottenere tutto ciò che desidera, con fatica e con impegno, per carità, ma alla fine si arriva sempre all’obiettivo. Invece stavolta è diverso, possiamo metterci del nostro, ma poi, un bambino arriva quando è lui a deciderlo.

E poi tre mesi fa è arrivato Lorenzo, dopo una gravidanza non facile che mi ha costretta a riposo per molti mesi .

Aspettare un figlio è un’esperienza indescrivibile, sai che dentro di te sta crescendo una nuova creatura, non la senti subito, è grande come una noce eppure ti pare di conoscerla da sempre, te la immagini, ci parli, carezzi la pancia pensando  di carezzare il suo viso, insomma ti innamori a poco a poco e quando finalmente lo incontri, hai paura che ti scoppi il cuore dall’emozione perché capisci che non ci sarà mai più nessuno che potrai amare così profondamente.

Ho vissuto in simbiosi con lui questi primi due mesi, con la scusa dell’allattamento non c’era mai l’occasione d lasciarlo e dico la verità, mi sono riscoperta gelosa di questo esserino che mi somiglia pure un po’.

Simone si è ritrovato dentro questo amore, ma per lui è diverso, ha ripreso subito il lavoro, fa la spesa, gioca a pallone.

Io invece ho messo la mia via in stand by e mi sembra quasi di stare dentro un altro lockdown, solo che stavolta, ci sto da Dio.

Ho paura che qualcuno mi svegli da un giorno all’altro dicendomi che in verità è stato tutto un sogno e non ho nessun bambino e sono di nuovo alle prese con un test di gravidanza.

Anche stamattina mia mamma è arrivata chiedendomi se volessi uscire, andare dal parrucchiere, ma il pensiero di allontanarmi da Lorenzo mi provoca un senso di panico che non avevo mai provato prima.

Mi vergogno a dirlo, ma non l’ho mai dato in braccio a nessuno, a parte Simone.

Poi stasera a cena è arrivato il  colpo al cuore che sentivo nell’aria da qualche tempo ma che mi rifiutavo di accettare.

“Sofi  tra poche settimane è Natale, cosa facciamo? Andiamo dai miei o dai tuoi? E’ ora che Lori faccia il suo debutto in società non credi?”

Ossignore.

La mia famiglia sta tutta in una mano, ma quella di Simone è una vera e propria tribù, tra fratelli, sorelle, zie e cugini sono sicuramente più di venti e a Natale si ritrovano tutti, ma proprio tutti insieme a casa dei nonni.

A parte il fatto che non voglio nemmeno pensare alle conseguenze del Covid, anche se so che sono tutti vaccinati, ma il pensiero di portare Lorenzo in quel ambiente sovraffollato mi fa male al cuore lo giuro.

“Non potremmo trascorrerlo qui a casa noi da soli tranquillamente? In fondo è il nostro primo Natale con Lori, che bisogno c’è di portarlo in mezzo a tanta gente? Non è nemmeno abituato, poveretto chissà che trauma.” dico rabbrividendo.

“Sofi non è abituato perché non gli abbiamo ancora concesso la possibilità di farlo,  anch’io sono geloso di nostro figlio, ma non credi che prima o poi dovrà cominciare a capire che al mondo non ci sono solo mamma e papà? E poi dai stiamo parlando di una visita, mica ci fermiamo tutto il giorno, però pensa al bisnonno che non l’ha ancora conosciuto”.

Lo so, so benissimo che non è normale il mio atteggiamento e da giorni continuo a ripetermelo, però più me lo ripeto più mi convinco che non c’è tutta questa fretta, insomma anche se aspettiamo ancora qualche mese non sarà mica la fine del mondo no?

Però i giorni volano via veloci e il giorno di Natale è arrivato.

Abbiamo deciso di pranzare da mia mamma e poi nel pomeriggio di raggiungere la famigliona almeno per un saluto. Ho mille dubbi, non so se allattarlo prima, dopo o durante, non so se lasciarlo dormire o svegliarlo, se cambiarlo subito o aspettare.

Fortuna che c’è un bel sole e loro non abitano distanti, così decidiamo di arrivarci a piedi e prendere un po’ di aria fresca. Mentre passeggiamo, guardo questa piccola perfetta famiglia che abbiamo costruito e ne vado così fiera che quasi mi commuovo.

Non avrei mai creduto di poter camminare accanto a un uomo che mi ama così tanto, e spingere una passeggino con dentro il miracolo più grande che la vita ti possa regalare: un figlio.

Mentre camminiamo chiedo a Simone di raccontarmi un po’ della sua famiglia che ho visto davvero pochissime volte da quando stiamo insieme.

“Mi è rimasto solo un nonno, lo sai, mia nonna se l’è portata via il Covid lo scorso anno, è salita su un’ambulanza e nessuno di noi l’ha più vista. E’ la prima volta che i miei zii si ritrovano tutti insieme, perché ci sono stati tanti diverbi pesanti e c’è voluto del tempo per rimettere insieme la famiglia. Poi c’è mia cugina Anna che quest’anno è triste perché il suo fidanzato è lontano per lavoro, c’è mio zio Federico che ha perso il posto di lavoro ….insomma ognuno come tutti ha la sua pena nel cuore, ma è Natale e cerchiamo di sorridere nonostante tutto. La cosa più bella di quest’anno è stata proprio la nascita di Lorenzo, è come se avesse dato una nuova speranza a tutti quanti”.

Quando arriviamo c’è uno strano silenzio ad accoglierci, temevo un grande caos e invece li trovo tutti lì, ad aspettarci emozionati e silenziosi.

“Li ho messi tutti a tacere” dice mia suocera “così non facciamo subito una figuraccia”.

Ci salutano bisbigliando e si avvicinano a Lore uno alla volta quasi timorosi di toccarlo.

“Oddio che amore, è bellissimo” ognuno ha una parola, un complimento.

Io li guardo e mi sorprendo a pensare che quando dicono che la nascita di un bambino è un miracolo, forse intendono proprio questa cosa qui, che un bambino aggiusta le cose, porta serenità anche dove non ci sarebbe motivo per averne, aggiusta i conflitti, e fa dimenticare anche se solo per un istante, gli affanni della vita.

Hanno una grande responsabilità i bambini, ma sono sicura che non avranno nessun problema a gestirla.

Ecco il tuo primo Natale figlio mio, così piccolo e già così importante.

Mi tornano alla mente le parole di una bellissima poesia di Gibran, che amo tanto,

“I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di se stessa.
Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi.
E sebbene stiano con voi, non vi appartengono. Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati”.

Felice Natale figlio mio.