pubblicato su Confidenze n. 20 Maggio 2014
di Giovanna Fumagalli Biollo

Di mestiere faccio la parrucchiera che certi giorni dico la verità, è un po’ come fare la psicologa. Arrivano donne di ogni età ciascuna con la propria storia da raccontare, e tra due colpi di sole, un taglio, un colore e una piega, io cerco di ricordare chi sono, da dove vengono, cosa fanno, per improvvisare un po’ di conversazione mentre sono in piedi alle loro spalle e vedo la loro immagine riflessa nello specchio.
Non avete idea di quanto siano vulnerabili le donne allo specchio magari con la testa bagnata, come pulcini sorpresi dalla pioggia. Vivo della loro vita perché non ne ho più una mia, ho trenta anni, ma dentro me ne sento sessanta e se non fosse per questo lavoro che amo così tanto, l’avrei già fatta finita da un pezzo, dico la verità. Ho avuto una relazione con un uomo sposato per quasi dieci anni.
Si è preso tutto di me, avevo vent’anni e lui trenta, la solita squallida storia piena di promesse e buoni propositi mai mantenuti. Lascerò mia moglie vedrai, ci rifaremo una vita insieme. Intanto la vita me la vedevo scorrere sotto gli occhi, assieme alla mia giovinezza, ai miei sogni, a tutto ciò a cui si avrebbe diritto a vent’anni. Me la sono voluta io, quindi peggio per me che ho scelto questa storia meschina fatta di bugie e di momenti rubati a un’altra donna.
E’ difficile da spiegare quando ci sei dentro, è come una droga che ti fa sentire bene quando ce l’hai in corpo, poi quando l’effetto svanisce, quando lui torna a casa da sua moglie, rimane un vuoto dentro che nessuna speranza può colmare. Ecco cosa ho perso lungo la strada: la speranza. La speranza che lui scegliesse me, che anch’io potessi avere qualcuno da cui tornare la sera, qualcuno per cui cucinare, fare la spesa, qualcuno che desse un senso a tutte le cose. L’ho lasciato sei mesi fa perché ho scoperto che durante questi anni lui aveva avuto un figlio da sua moglie .
Assurdo vero? Mi prometteva di lasciarla e intanto ha fatto un figlio, anzi una figlia che oggi ha tre anni. Quando l’ho scoperto, l’ho visto finalmente per ciò che era: un debole, un vigliacco, e allora lasciarlo è stato quasi facile. Ma da sei mesi sto all’inferno e non so come venirne fuori. Non è trascorso un giorno da allora in cui mi sia chiesta perché non abbia scelto me, perché non lo abbia voluto da me un figlio, ma come dice la mia amica Sabri, io sono arrivata dopo e non avevo diritto proprio a un bel niente.
Squilla il telefono. “Lo stile di Jo, buongiorno” rispondo con voce squillante. “Hai posto per la tua amica del cuore?” .E’ Sabri che prende appuntamento per l’indomani. “Giorgia avresti bisogno di fare qualcosa di nuovo” mi dice mentre le taglio i capelli.“Sto bene non devi preoccuparti per me”. Ma lei risponde che a giudicare dall’aspetto non si direbbe. “Settimana prossima inizia il corso per volontari Abio, sai quelli che prestano servizio di volontariato in pediatria, tu sei tanto dolce con i bambini perché non ti iscrivi? Sono due ore la settimana potresti andarci la sera oppure il lunedì che il negozio è chiuso” .E’ vero adoro i bambini, ma mi spaventa la malattia .“Mica li devi curare, giochi con loro, scambi due parole con i genitori, conosci altri volontari, qualcosa di nuovo e di utile, cosa dici? Pensaci su e fammi sapere dai”.
Alla fine mi iscrivo, non so nemmeno io perché, però mi piace, conosco un sacco di gente nuova, ci spiegano in cosa consiste la nostra attività di volontari: poche semplici cose, far giocare i bambini, accudirli se i genitori si allontanano un momento, magari scambiare due parole con loro che sono sempre preoccupati e anche un po’ impazienti. Il corso dura cinque settimane e alla fine c’è un breve esame con il quale si ottiene l’abilitazione. Ho scelto il turno del lunedì sera, e domani comincio.
Ammetto di essere emozionata. L’appuntamento è nel reparto di pediatria per il turno dalle 19 e 30 alle 21.00.Abbiamo una tutor che ci accoglie e con lei prepariamo dei palloncini modellabili con i quali poi cominciamo a fare il giro in corsia, entriamo in punta di piedi in ogni camera, cerchiamo di capire se la nostra presenza è gradita, ci rendiamo disponibili. Ci accolgono tutti con un sorriso nonostante sui loro volti siano palesi preoccupazione e stanchezza. Io sono abituata a fare conversazione e non fatico a trovare argomenti, mi sento subito a mio agio anche quando ci spostiamo nella bellissima sala giochi dove ci sono alcuni bambini che chiedono di giocare o di leggere loro una storia. Stasera ho accudito Dario, un piccolino di venti giorni che la mamma mi ha messo in braccio senza esitare per andare a bere un caffè. Ma quanto sei bello piccolino? Gli domandavo cullandolo. Cosa ci fai qui anziché essere a casina con la tua famiglia?
C’è tanta sofferenza in questo reparto ma anche tanta gioia, perché noi volontari non ci tiriamo mai indietro quando si tratta di far sorridere i piccoli pazienti e i loro genitori. Come vola il tempo! Sono volontaria da sei mesi ormai, e sono entrata anche a far parte del gruppo addobbi, che oltre al turno settimanale si occupa di decorare il reparto preparando disegni di ogni forma e dimensione a seconda delle ricorrenze. Stasera sono particolarmente serena, mi torna alla mente una bella preghiera che avevo letto tempo fa da qualche parte:
“Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma il suo ricordo è talora eterno”.
E’ stato così anche per me, alla fine regalando sorrisi ho imparato a sorridere anche per me stessa, a volermi bene, a dedicarmi tempo per qualcosa di bello e di utile.
Mentre penso a queste belle parole, il destino che ha deciso di prendersi gioco di me ancora un po’, mi fa incontrare proprio lui, Giacomo, in una camera d’ospedale chino su un lettino dove c’è distesa una bambina con lunghi capelli biondi e un pigiamino rosa.
Lo sguardo stupito di entrambi, forse più suo che mio, un momento che dura una vita per ricomporci e poi un saluto composto come di vecchi amici che non si vedono da tanto e non di due amanti che hanno giocato a fare la coppia per quasi dieci anni. “Come ti chiami?” mi domanda la bambina. Basta questa domanda a ricordarmi chi sono adesso e subito comincio a chiacchierare con lei, testimone ignara di una vicenda dolorosa e squallida.
Si chiama Martina, ha quasi quattro anni e da grande vuole fare la commessa.
“E’ un po’ fissata con questo gioco” mi spiega suo padre come se non ci fosse altro di importante di cui parlare.” “Lei vende qualunque cosa di cui tu abbia bisogno”. La guardo un momento, le accarezzo i capelli, ci penso e poi le dico: “Vorrei due etti di speranza grazie”. Martina scoppia in una risata poi prende un sacchettino, finge di metterci dentro qualcosa e me lo porge. “Ecco a lei signora fanno 4 euro”. Quando esco dalla camera lui mi segue, mi ferma toccandomi leggermente il braccio e tutto il mio corpo subisce una piccola scossa elettrica che dura meno di un istante. Mi chiede come sto, che mi pensa ancora ogni giorno.
“Io credo che abbiamo fatto la cosa giusta Giorgia, però vorrei sapere se hai bisogno di qualcosa”. Sorrido, tolgo il sacchettino dalla tasca e glielo mostro. Due etti di speranza, ecco tutto quello che mi serve. Fuori l’aria fresca mi riscuote, respiro adagio e mi riempio i polmoni e mi pare di sentire un’aria nuova, stasera.
Carissima Giovanna, bellissimo ritrovarti qui, e leggerti!!! Ho scoperto questo blog per caso, ed entro 🙂 …trovo il tuo racconto, e come spesso mi accade, mi ritrovo in situazioni strane, come se quello che ho nel cuore e nella testa, riesca a volte a prendere “forma” o spunto in altre “vesti”.
Non sono brava come te a scrivere, chissà se riuscirò ad esprimere quello che la lettura di “regalo sorrisi” mi ha trasmesso……
L’anno per noi è iniziato diversamente da subito, la mia polmonite già’ mi aveva lasciato una strana sensazione, ma non capivo cosa fosse. E poi tutto viene chiuso, ci si ritrova in 90 mq tutti e quattro, con mille paure, mille domande……dopo un momento di sbandamento iniziale, mio marito ci “impone” di evitare TG ogni giorno…..più’ musica, e vivere quel “qui ed ora” che lui sempre mi raccontava…….be’ ora capisco un po’ di più quello che lui prova da anni….e come lui tante alte persone con varie difficoltà. Ho riscoperto un marito premuroso, verso di me, ma soprattutto versi i bambini, un marito che non si tira indietro a seguire il grande con i compiti, nell’aiutarlo con le lezioni, nell’impostare un buon metodo di studio…..un marito che non si tira indietro per aiutarmi a passare i pavimenti, o a fare lui la spesa per preservarmi dopo la mia polmonite…..lui che dovrebbe preservarsi maggiormente. Mi trovo ad avere finalmente tempo per guardare le cose fondamentali, a conoscere meglio i miei bambini, a catturare delle loro paure e delle loro conquiste enormi. Riscopro anche alcuni vicini “speciali”, ai quali fino a ieri riservavo solo un semplice saluto, ora scopro persone seppur diverse da me, ma con anche loro tanto da regalare e dare……dal semplice fiore per pasqua, al dolcetto fatto in casa, alla mascherina che ci serviva….o alla semplice chiacchierata sul balcone….semplice ma in questi momenti, di inestimabile importanza.
Insomma, questo periodo difficile, lascerà nel mio cuore sicuramente anche tante cose positive, una mia crescita personale :sono riuscita a lasciar andare persone e cose che mi facevano male, sono riuscita a dedicarmi del tempo per sentire il mio cuore!!!!Un cuore che scalpita per poter fare qualcosa però di più, perchè se è vero che nella mia famiglia ho riscoperto tanto, ho anche voglia di fare altro per altre persone,”regalare sorrisi” come leggevo appunto….. Grazie per lo spunto, mi darò presto da fare quindi!!!!
un abbraccio grande!
Gessica
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Gessica grazie! La tua esperienza è davvero potente e ti sono infinitamente grata per averla condivisa, con l’augurio che sia un suggerimento prezioso di nuovi pensieri per tante donne che sicuramente dopo questo tempo, non saranno più le stesse…in meglio mi auguro. Mettiamoci al lavoro dunque, c’è tanto da fare! A presto!
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