La mia stranissima famiglia

Pubblicato su Confidenze N 4 Gennaio 2010

Caro diario,

non ci posso credere. Sono appena tornata da scuola e anziché trovare un piatto di pasta pronto c’è la solita assistente sociale seduta sul divano. No, è impossibile questa volta mi sbaglio. Ci deve essere un’altra spiegazione, per forza, altrimenti stavolta avrò una crisi isterica, me lo sento.
“Ciao Silvia, conosci la dottoressa Aceti vero?”
Comincia così mia madre e io ho già capito che la storia sta per ripetersi.

Bisogna che faccia un passo indietro e ti racconti tutta la storia.

Sono la quarta di cinque figli, sì hai letto bene, cinque.
Lo so che è assurdo trovare ancora famiglie così numerose, ma cosa vuoi che ti dica, i miei genitori appartengono a quella serie di cattolici praticanti che sono per l’apertura alla vita e così hanno avuto cinque figli. Io sono la quarta e ho 16 anni, prima di me ci sono Anita, Pietro, Gabriele e poi Alice che ha 12 anni.

Da piccola mi piaceva far parte di una famiglia cosi numerosa, c’era sempre qualcuno con cui giocare, i lavori di casa si facevano a turno, e quando ne combinavamo qualcuna, alla fine non saltava mai fuori il vero colpevole. A scuola avere fratelli grandi significava godere di un ruolo privilegiato, se ero in difficoltà erano sempre pronti a difendermi.

Ma crescendo mi sono resa conto che c’era pure il rovescio della medaglia.

Ad esempio mi toccavano sempre i vestiti smessi di mia sorella Anita, a Natale Gesù Bambino portava un solo regalo a testa, mai soldi per le vacanze perché c’era sempre qualche spesa più urgente, l’apparecchio per i denti, gli occhiali, la scuola e così via. Insomma una barba.

Mia madre naturalmente non lavora e papà con il suo stipendio non può certo fare miracoli.

Però nonostante questo, siamo sempre riusciti a cavarcela.

Il mondo mi è crollato addosso 3 anni fa, quando una sera ci hanno riuniti tutti intorno al tavolo e serafici ci hanno chiesto cosa ne pensassimo dell’affido. All’inizio ho creduto che ci chiedessero un parere, invece ho capito che in realtà avevano già avuto un colloquio con l’assistente sociale e la decisione era stata presa.

Quando ho provato a sollevare dubbi su questa scelta, mi hanno guardata tutti malissimo e io mi sono sentita la pecora nera della famiglia. Così quella sera me ne sono andata a letto con la sgradevole sensazione di essere nata nella famiglia sbagliata. Io che sogno abiti nuovi, vita agiata, girare il mondo che cavolo ci faccio in una famiglia dove tutto è fatica e sacrificio?

Dopo un mese è arrivata Ilahme, figlia di genitori che non potevano prendersi cura di lei e hanno accettato di affidarla ad una famiglia per un certo periodo di tempo. L’affido è questo. In pratica lo tratti come tuo figlio in tutto e per tutto, ma in realtà non lo è e quando la sua famiglia è pronta a riaccoglierlo, tu lo lasci andare.

Così è stato per Laura, per Alberto, per Beatrice. Ogni anno un bambino nuovo, ognuno diverso per età, per disagio, per storia. E ognuno di loro se ne è andato con una luce nuova negli occhi.

Non so cosa abbiano trovato in casa mia, però credo che la situazione famigliare di ciascuno di loro fosse talmente drammatica da poter pensare che vivere in una famiglia di 7 persone (con lui otto), dove tutto viene misurato attentamente, fosse in confronto un paradiso.

Io ho sempre cercato di non lasciarmi coinvolgere troppo da questi bambini, prima di tutto perché non volevo affezionarmi e poi non avevo molto tempo da dedicare loro con la scuola, i miei impegni e tutto il resto. E quando sei mesi fa se ne è andata Beatrice, ho tirato il fiato, sperando che finalmente avessimo finito con questa storia degli affidi.

E oggi il colpo: l’assistente sociale seduta sul divano di casa mia.

“C’è qualcosa che dovrei sapere?” ho domandato a mia madre.

L’assistente sociale precedendola ha spiegato che in realtà i miei genitori avevano chiesto un periodo di sospensione, ma c’è un’urgenza che è stata segnalata dal tribunale dei minori e loro sembrano essere la coppia più idonea per potersi occupare di questo bambino. Guardo mia madre quasi a pretendere una risposta, ma i suoi occhi hanno già detto tutto: è più forte di lei, se c’è un bambino che ha bisogno di aiuto, non si tira mai indietro. Ma ancora non sapevo tutta la storia che mio padre ha trovato il coraggio di spiegare la sera durante la cena: il bambino che sarebbe arrivato è un neonato.

Io ero basita.

“Che cosa significa un neonato?” ho chiesto con un brivido.

Mia madre risponde quieta che si tratta di una bambina di 10 mesi nata prematura.

Papà cerca di minimizzare affermando che non sarà da portare a scuola, non dovrà fare compiti, basterà sfamarla, cambiarla, cullarla un po’ e tutto andrà bene. I miei fratelli si fidano, Anita è entusiasta e la piccola Alice si offre per accudirlo. Io cerco di esprimere il mio dissenso, ma nessuno sembra farci caso, tutti sono entusiasti e a me è passato l’appetito.

Che famiglia strana la mia.

Il giorno dopo a scuola ne parlo con Carola che è la mia migliore amica.

“Ma di cosa ti preoccupi? Mica lo devi curare tu, c’è tua madre no? “

Ma lei non può capire, è figlia unica di genitori separati, vive con la madre che le lascia fare tutto quello che vuole in una casa che è grande due volte la mia e che lei condivide solo con la madre.

Ho provato a spiegarle come ci si sente quando vorresti mangiarti una mela ma prima devi chiedere agli altri se pure loro la vogliono, perché se è l’ultima devi condividerla. Oppure come si sta a dormire in tre in una camera e aver voglia di leggere fino a mezzanotte, ma essere costretta spegnere la luce perché le altre due brontolano.

Caro diario

Oggi è arrivata Jedidia, si chiama così.

E’ una bambina con la pelle più nera che io abbia mai visto ed è piccola piccola. Come ci aveva detto l’assistente sociale ha 10 mesi ma non li dimostra affatto. Ha bisogno di mangiare poco ma spesso, di essere cullata a lungo perché appena nata è stata in incubatrice per più di 40 giorni e le è mancato tantissimo il contatto con la madre.

L’efficienza di mio padre ancora una volta ha sorpreso tutti.

Ha preparato un elenco nel quale compare il nostro nome a turno sia di giorno che di notte così tutti riusciamo a prenderci cura di lei cercando di non far pesare la fatica soltanto su mia madre.

All’inizio è stato terribile, la mamma ha dovuto insegnare a ciascuno di noi come prendersi cura di un bimbo così piccolo e io ho creduto più di una volta di farle del male anche solo tenendola in braccio oppure avevo il terrore che mi cadesse, poi piano piano abbiamo trovato un equilibrio e anche Jedidia sembra essersi ambientata un po’.

Io rispetto la loro scelta e mi metto a disposizione come posso, ma non possono chiedermi anche di amarla a comando sta bambina. Non è mia sorella e poi ho altro a cui pensare sinceramente.

Sabato sera c’è una festa a casa di Carola, ho risparmiato per settimane per potermi comprare un golfino nuovo e non vedo l’ora di inaugurarlo.

Caro diario,

non ci posso credere.

Vogliono boicottarmi la serata ma ti rendi conto? Devo stare in casa a curare Jedidia perché ognuno dei miei familiari ha un impegno inderogabile e io sono l’unica che può liberarsi. Abbiamo trascorso la serata a discutere e nessuno ha ceduto. Ma perché sono nata in una famiglia cosi? Sono furibonda.

Caro diario

Jedidia dorme per fortuna, l’ho cambiata, le ho dato da mangiare e ora riposa.

Mia sorella Alice rompe perché vuole giocare a Monopoli ma non ne ho voglia. Cerco di non pensare alla serata che avrei potuto trascorrere, ma la rabbia nel cuore è tanta. Alice  poco fa mi ha chiesto se sono contenta che Jedidia sia con noi.

Oh insomma ma ce l’avete tutti con me? Le ho risposto un po’ troppo bruscamente.

Non basta che io la accudisca rinunciando a una delle serate più belle della mia vita? Cosa vogliono tutti quanti? Il sacrificio? Sono stufa di questa storia, io voglio solo vivere la vita come fanno tutte le mie amiche senza dover essere sempre e per forza disponibile per i bisogni della mia stranissima famiglia. Ecco si è pure svegliata.

Caro diario,

che stravolgimento della mia vita in poche ore ieri sera!

Quando Jedidia si è svegliata mi sono resa conto che il suo pianto era strano. Più che un pianto direi che era un lamento. “Ehi cosa c’è piccolina?” le ho sussurrato mentre la prendevo in braccio e pensavo a quanto fosse leggera. Poi mi sono accorta che scottava. Perché ti sei fatta venire la febbre proprio stasera eh? Per fare dispetto a me? Alice mi guardava preoccupata, ma le ho spiegato che era solo un pochino di febbre.

“Chiama la mamma e chiedile se possono tornare” le ho detto.

Mentre Alice telefonava ho cercato di misuragliela, e quando ho visto il termometro a momenti mi ha preso un colpo: 39 .9 ma quand’è che le è salita così tanto?

“La mamma dice di metterle una supposta di tachipirina perché ci vorrà almeno un’ora prima che tornino”.

O Gesu e chi ha mai messo una supposta a un bambino? Perché, perché a me queste responsabilità? Io volevo solo andare alla mia festa, e ballare e ridere e divertirmi.

“Silvia ho un’idea chiamo la signora Lidia” ha detto Alice all’improvviso.

La signora Lidia è la nostra vicina, anche lei mamma di tre figli. Sono indecisa per un attimo, perché mi scoccia farle vedere che non sono all’altezza della situazione, ma mi dispiace anche vedere Jedidia con questo febbrone. E va bene chiamala.

Alice è corsa di sopra e io ho continuato a cullare la bimba nella speranza che smettesse di piangere.

La signora Lidia è arrivata subito e con la dimestichezza tipica delle mamme ha preso  la bambina le ha tolto il pannolini e delicatamente le ha messo una supposta. Poi le messo i piedini sotto l’acqua corrente tiepida, perché ha spiegato, serve a far scendere più velocemente la temperatura.

Mi si stringeva il cuore a vedere Jedidia in braccio ad una sconosciuta piangere a squarciagola. E quando finalmente sono riuscita a prenderla di nuovo in braccio lei si è calmata all’improvviso. Sentivo il suo cuoricino battere a cento all’ora e ho cominciato a parlarle dolcemente baciandola sulla fronte pregando che si quietasse.

“In braccio a te si è calmata subito tua sorella, così piccola e già ti riconosce” ha detto la signora Lidia.

“Scusi?” ho risposto un po’ confusa.

“Jedidia, dico, si è calmata, non è tua sorella?”

Io l’ho guardata quella piccina mentre il sonno la coglieva trasportandola in un mondo di pace e beatitudine, lontano da genitori che non possono prendersi cura di lei, lontano dalla fatica di crescere, di abituarsi a volti nuovi e a braccia sconosciute. Piccola Jedidia, hai solo dieci mesi e la vita per te è già stata fin troppo dura.

Io mi lamento e brontolo come una pentola di fagioli, ma nessuno sa che ogni giorno nelle mie preghiere non dimentico di ringraziare Dio per avermi dato una famiglia, che nonostante le sue stranezze e le sue scelte alternative, mi ama tantissimo e mi accetta per quello che sono, ma soprattutto non mi ha mai negato un sacco di amore.

Sono fortunata lo so e ho deciso in questo momento che farò di tutto per condividere questa ricchezza con chi ne ha bisogno, a cominciare da questa piccolina.

E comunque alla signora Lidia alla fine ho risposto che sì, Jedidia è mia sorella.

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