P come parola, P come potenza

Questa settimana sono stata costretta mio malgrado a salutare due donne speciali.

Le persone che vedete accanto a me in questa foto si chiamano Anzhelika e Anton, sono rispettivamente figlia e nipote della cara Raissa, la badante che accudisce mia suocera da diversi anni.

Loro vivevano in Ucraina, Anzhelika  aveva un lavoro, Anton aveva appena terminato gli studi a Varsavia e si era da poco laureato. Era tornato a casa per cercare un lavoro e stare vicino a sua madre, che il papà l’ha perso quando era ancora piccolo.

Sembra una storia familiare simile alle nostre, con la differenza che quasi un anno fa, a questa famiglia come a tante altre, la guerra ha spazzato via tutto in un momento: casa, lavoro, sogni, speranze, futuro, lasciando in cambio soltanto paura e disperazione.

E’ stato per sfuggire da quell’incubo che Anzhelika e Anton una mattina di luglio hanno affrontato il più lungo e pericoloso dei viaggi e sono arrivati in Italia da Raissa.

Io c’ero il giorno del loro arrivo e non dimenticherò mai la stanchezza e la rassegnazione di cui erano carichi i loro sguardi, lo sgomento di chi fatica a capire come ci è finito a migliaia di chilometri da casa, dentro una storia che non gli appartiene.

Non è stato facile.

Nonostante fin da subito il nostro paese si sia dimostrato accogliente offrendo un permesso di soggiorno, ospitalità, sostegno economico, con il trascorrere dei mesi, la situazione si è fatta pesante.

Passata la paura, vinta la stanchezza, ti accorgi che manca la cosa più importante: la prospettiva di un futuro.

Perché puoi sentirti accolto, ma sei sempre straniero e la lingua è la vera grande difficoltà che fatichi ad affrontare.

E così stamattina, a distanza di sei mesi dal loro arrivo, sono ripartiti per Varsavia, in cerca di un futuro sul quale provare a ricostruire una vita che la guerra ha spaccato a metà.

Questa è la storia di due degli oltre 150.000 profughi ucraini che dall’inizio del conflitto sono arrivati in Italia, 150.000 persone a cui è stato sottratto il diritto più sacro di ogni essere umano: la libertà.

La guerra dopo un po’ smette di fare notizia, ma è nostro dovere non dimenticare quello che sta accadendo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo

Quanto avrei voluto approfondire la mia amicizia con Anzhelika, ascoltare le sue storie, trovare la parole giuste per confortarla e dirle quanto la stimo per il suo coraggio.

Ma la lingua ha rappresentato una grande ostacolo.

Le parole sono custodi di tutti i nostri pensieri, le nostre storie, la nostra realtà e senza di esse, viene a mancare la possibilità di condividere un mondo di emozioni.
Nelle parole c’è tutto.

La parola è la forma più usata dagli umani nell’atto della comunicazione, il suo potere è enorme per comunicare alle altre persone il bello della nostra vita.

E sempre questa settimana, una male incurabile si è portato via la mia carissima amica Marisa.

Lei sì che le parole le sapeva maneggiare con molta cura.

Di Marisa ho scritto più volte dentro questo blog, per amicizia e per gratitudine, perché devo a lei il coraggio con cui mi sono presentata tanti anni fa alla redazione di Confidenze, proponendo le mie storie che avete letto tante volte dentro il blog

“Scoprire di saper fare qualcosa e di saperlo fare bene”
non mancava di ripetermi.

Se sapessi Marisa quanto ho fatto mie queste parole, quante volte mi sono reinventata nella vita scoprendo di potercela fare.

Non ho mai perso occasione di dirti quanto mi era preziosa la tua amicizia, ma oggi voglio ripeterlo una volta ancora, voglio che le splendide figlie che hai cresciuto sappiano che donna meravigliosa ha lasciato questo mondo, quanto sapere si è portata via , quanta lealtà, quanta caparbietà e quanta coerenza.

Ciao Marisa come ha scritto una nostra cara amica: “ovunque sei farai faville”.

Amiche care, siccome non voglio chiudere questo post  con una vena di malinconia, prima di salutarvi, poiché vi ho tanto parlato del valore delle parole, vi voglio raccontare anche di un’iniziativa di cui mi sono fatta promotrice come consigliere comunale in collaborazione con la Caritas parrocchiale del mio paese, una realtà bellissima nella quale operano, guarda caso, donne speciali.

Sono convinta che per le donne che parteciperanno a questo laboratorio questa sarà un’occasione per fare delle parole il più nobile degli usi: quello di condividere stralci di sé e ricevere in cambio e in abbondanza, pezzettini da altre donne, qualunque sia la loro storia.

Buona domenica amiche care e se volete condividere questo articolo perché vi è piaciuto, non dovete fare altro come sempre che cliccare sui pulsanti qui sotto👇👇🥰🥰

5 pensieri su “P come parola, P come potenza

  1. Giuliana

    Raissa e’ meravigliosa e sicuramente saprà aiutare figlia e nipote ovunque andranno !! Certo, la vita per loro e’ molto dura, ma bisogna nn perdere mai la speranza….e stando uniti, lottare ! Purtroppo la Guerra sta perdurando e la gente soffre ingiustamente. Ma sono certa che ricorderanno qsti sei mesi con gratitudine e la’ dove andranno troveranno un rifugio ! Almeno, speriamo !! Per loro e per Raissa, una donna che dire speciale e’ dire poco … Se poi possiamo fare qlcosa da qui x loro…facci sapere ! Un abbraccio

    Piace a 1 persona

  2. Dozio Luisa

    Sto rileggendo lo scritto di questa settimana.
    Mi colpisce sempre la poesia di Primo Levi e mi rendo conto di quanto sia
    attuale anche oggi.
    Questo che stiamo vivendo è un tempo di guerra, una guerra diversa da come la abbiamo concepita.
    Quante persone sono costrette ad allontanarsi dalla loro casa / Patria,
    vuoi per troppa povertà, vuoi per una guerra di aggressione.
    Noi che siamo sicuri al caldo nelle nostre case, proviamo ad immaginarci
    nei panni di queste sfortunate persone ?
    Io non ci riesco.
    P come Potere.
    È difficile aprirci alla speranza, tuttavia, se neghiamo una possibilità di riscatto: qual è il senso della vita ?

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    1. Ciao Luisa cara che bello ritrovarti nel mio blog con una riflessione di un simile spessore. Hai ragione fatichiamo a immaginarci in certi contesti proprio perché inimmaginabili. Eppure non per questo siamo giustificati. Mentre ci mettiamo accanto a loro percorrendo insieme un pezzetto di strada, abbiamo il dovere di parlare di speranza, non come qualcosa di lontano e irraggiungibile, ma come concreta possibilità di riscatto della propria vita.

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