“Che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale”.
Domenica mattina ore 7.30, esco con il mio cane.
Per quanto abiti in una zona silenziosa, circondata da prati e alberi dove ancora i colori brillano di luce propria, stamattina ho faticato ad apprezzare il silenzio che mi circondava perché rubando l’espressione di Diodato e della sua meravigliosa canzone, era innaturale.
Oltre i campi in fondo vedo una strada statale lungo la quale persino in questi giorni di corona virus ogni tanto qualcuno transita, ma stamattina era deserta e il silenzio assordante della campagna era insolito.
All’inizio non riuscivo a comprendere cosa ci fosse di diverso rispetto al silenzio nel quale comunque vivo ogni giorno.
Poi ho capito.
Oltre al silenzio umano, c’era il silenzio della natura.
Era come se uccelli e alberi di solito sostenuti dal vento, avessero deciso anch’essi di tacere, in una forma di muto rispetto verso gli esseri umani, obbligati a stare dentro questi giorni che fanno fatica ad appartenerci.
Il silenzio un po’ ci costringe un po’ a metterci in ascolto di noi stessi, che è una forma di comunicazione dalla quale rifuggiamo volentieri.
Perché i nostri pensieri quando c’è silenzio, risuonano prepotenti dentro di noi, pretendendo di essere accolti, sviscerati, magari condivisi.
Finiti questi giorni, il silenzio avrà smesso di metterci paura. Forse.
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