Pubblicato su Confidenze N. 6 Febbraio 2010
di Giovanna Fumagalli Biollo
Osservo di nascosto il tuo profilo, mentre sei china sulla scrivania e fai i compiti, apparentemente concentrata su complicate formule di matematica che si rifiutano di entrare nella tua testa. Ma io so che la tua mente è altrove, i tuoi pensieri sono lontani, nascosti in luoghi nei quali io non posso accedere.
Qualche volta penso che darei non so cosa per poterci fare anche solo un piccolo giro dentro la tua testa, dentro il tuo cuore e capire cosa provi, come ti senti, quali sentimenti abitano ogni fibra del tuo corpo. Fingi di studiare, ma hai il cuore spezzato. Lo so. E mi spaventa pensare che sarei capace di uccidere chi ti ha fatto soffrire in questo modo, nonostante la parte più razionale di me ripeta in continuazione che hai solo 17 anni e una delusione d’amore non ti rovinerà la vita, e il ragazzo che ti ha mollata, tra dieci anni non sarà più degno nemmeno di avere uno spazio nei tuoi ricordi. Eppure se potessi mi prenderei il tuo dolore, me lo caricherei sulle spalle e scapperei lontano, così che tu non debba più essere costretta nemmeno a sentirne l’odore. Figlia mia adorata, che aspettavi il principe azzurro e non volevi buttarti via in storie senza amore e quando l’amore si è presentato davanti alla tua porta, ti è sembrato di toccare il cielo con un dito.
Io l’avevo capito subito che non era il ragazzo adatto a te. Noi mamme abbiamo come un sesto senso per queste cose, riconosciamo il pericolo, intuiamo l’errore e l’istinto ci spingerebbe a buttarci davanti ai nostri figli per parare il brutto colpo, per risparmiare loro errori che porterebbero solo dispiaceri. E invece ce ne stiamo lì, impotenti a vedervi sbagliare, aspettando il vostro ritorno con il cuore in subbuglio. A quel punto raccogliamo i cocci, cerchiamo di aggiustare qualcosa, passiamo fazzoletti per soffiare nasi e asciugare lacrime e vi portiamo a fare shopping per cercare di distrarvi un po’, ma soprattutto, aspettiamo che il tempo compia il suo paziente lavoro e rimargini le ferite. Ma io non ero preparata a tutto questo. Io non credevo che vederti soffrire mi facesse stare così da cani, ma soprattutto mi rendesse così impietosa. Ora le capisco le mamme dei cuccioli che sono pronte a difenderli a prezzo della loro vita. Cosi è stato anche per me. Questa estate ti vedevo messaggiare di continuo, spiavo di nascosto il tuo sguardo mentre leggevi quei messaggi che fluivano copiosi e la sera a letto sottovoce, dicevo a tuo padre “secondo me è innamorata”. Ma sai com’è tu per lui hai smesso di crescere a 6 anni e sei sempre la sua bambina, figurarsi parlare d’amore. Allora facevo come Maria, la mamma di Gesù, serbavo tutto dentro il mio cuore sperando di capire, prima o poi. Aspettavo di ascoltare le tue confidenze, aspettavo i resoconti dei tuoi batticuori, delle tue emozioni, di quella inquietudine che si prova quando inaspettatamente l’amore entra nella nostra vita e ci toglie il respiro. Al ritorno dal mare hai cominciato ad uscire con lui, Dio mio quanto eri bella e felice e incredibilmente giovane.La sera ci mettevi una vita a scegliere i vestiti e mi chiedevi consiglio sugli abbinamenti migliori. Dopo qualche settimana, una sera ce l’hai presentato. “Ha i capelli troppo lunghi” è stato il commento di tuo padre quando ve ne siete andati. Suvvia i capelli si tagliano, avevo risposto lì per lì. Ma era lo sguardo che non mi era piaciuto. Il tuo che si perdeva nei suoi occhi e il suo che guardava altrove. Cieca, sciocca figlia mia accecata dall’amore, non lo vedi che non ti ama quanto lo ami tu? Bisogna che glielo dica, pensavo di continuo, bisogna che prima o poi glielo dica che non fa per lei, che non è l’amore della sua vita. La prima sera che ti ha dato buca ho morso la lingua fino a farla sanguinare. Perché sempre alle mamme il lavoro sporco di aprire gli occhi ai propri figli? E’ matura pensavo, è intelligente capirà da sola. Ma tu non capivi niente. Cioè, non volevi capire. Perché per vivere abbiamo bisogno di credere disperatamente che i nostri sogni si avverino, e tu questo volevi, con una caparbietà che non avevo mai visto prima in te. Al secondo bidone ti sei chiusa in camera tua e ti sentivo piangere anche se soffocavi le lacrime nel cuscino. La mattina dopo quando sei comparsa in cucina per fare colazione ricordo di averti chiesto qualcosa, ma tu hai eretto un muro e io mi sono rassegnata. Ma quando poi ti ha lasciato, allora sì che mi hai cercata e hai aperto il tuo cuore riversando dentro di me tutta la tua amarezza e la tua disperazione. Quante lacrime si possono versare a 17 anni per amore?Quante ne contiene il serbatoio dei nostri occhi?
“Non ti meritava Gioia, non ti meritava e troverai una persona migliore”. Mi sentivo una cretina a tirare fuori quelle frasi fatte, ma che altro potevo dirti? Che non avrei mai creduto di poter odiare così intensamente una persona? Che avevo il rimorso grande come una casa di non aver insistito, di non averti costretta a darmi ascolto? A tuo padre dicevo: dobbiamo lasciarla in pace, dobbiamo stare a guardarla mentre commette errori, non possiamo prendere in mano la sua vita, non abbiamo tutto questo potere, non ci è concesso. Lui scuoteva la testa e la sera vedeva il tuo piatto che rimaneva tale e quale. E io aspettavo ancora una volta che il tempo facesse il suo lavoro. Qualcuno ha detto che una volta toccato il fondo, si può soltanto risalire. Il tuo fondo è stato scoprire che lui ti aveva lasciata per mettersi con la tua migliore amica. Perdere in un colpo solo le due persone che credevi ti avessero a cuore più di ogni altra, è stato un duro colpo.
Hai cominciato ad andare male a scuola, quella matematica che ti faceva disperare, ti ha procurato un sacco di brutti voti. Allora ho deciso di intervenire, a modo mio. Ci sono momenti in cui il peso di essere genitori emerge con tutta la sua prepotenza. Quel pomeriggio sono andata in biblioteca e ho spulciato la bacheca con gli annunci. “Studente universitario impartisce ripetizioni di matematica”. L’ho chiamato e mi sono accordata per il pomeriggio. Te la ricordi la scenata che mi hai fatto? Tu, la prima della classe doverti abbassare a chiedere ripetizioni? “Gioia, è solo un momento, un passaggio, prendilo come un aiuto temporaneo, non sarà per sempre”. Quante parole ci tocca sprecare a noi mamme, parliamo fino a non avere più voce, illudendoci in qualche modo di incollarvele addosso quelle parole, di farle penetrare dentro di voi fino a diventare parte dei vostri pensieri. Comunque Andrea è arrivato puntuale quel pomeriggio e per un momento ho creduto di aver sistemato ogni cosa. A parte il fatto che era un ragazzo carino e ben educato, nel giro di poche settimane ti ha fatto fare pace con la matematica e ho cominciato a vederti più serena. Ma non basta un bel voto in matematica a curare le ferite del cuore. Sono qui che osservo il tuo profilo mentre sei china sui libri e mi viene in mente una frase di una canzone di Battiato che diceva: “Ti salverò da ogni malinconia perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te, io sì avrò cura di te”. Un nodo mi chiude la gola e non riesco a fermare i ricordi. Mi sono presa cura di te quando eri un esserino indifeso, quando tutto ciò che sapevi fare era stringere tra le tue mani il mio dito. Guardavo le tue piccole unghie e mi sembravano perfette conchiglie di madreperla, il tuo sguardo placido e in pace con il mondo e ti stringevo tra le braccia e mi dicevo che ti avrei protetto per sempre, che mi sarei presa cura di te ogni momento e ti avrei difeso dal buio della vita. Ora ti guardo e non so cosa darei per stringerti ancora tra le braccia una volta, per coccolarti e sussurrarti che andrà tutto bene. Probabilmente senti il mio sguardo su di te perché alzi la testa e mi sorridi. “Che c’è ma’?” “Niente” dico io tirando su con il naso. “Ma, va tutto bene, stasera esco, Andrea mi ha invitato a mangiare una pizza, ho pensato di andarci”.
Sento come se qualcuno mi togliesse un peso dal cuore. Ma prima che io possa replicare, quasi leggendo i miei pensieri, tu mi sorridi e dici che non è l’amore della tua vita, ma solo un amico con cui mangiare una pizza. Faccio sì con la testa. Per me può bastare.
Sono passati altri mesi, ed io mi sento stranamente serena. Sei uscita ancora qualche volta con Andrea e mi sembra che andiate proprio d’accordo. Hai ripreso a sorridere, ad andare bene a scuola, a curare l’abbigliamento quando devi uscire, a truccarti. Sembri serena e lo sono anch’io. Mio marito ogni tanto mi prende in giro per come ti tengo d’occhio. Mi dice che gli ricordo che quando eri piccola, se io avevo sete ti davo da bere e se avevo freddo ti coprivo. “Lucia, siete in simbiosi voi due, non ti rendi conto che l’hai partorita e non è più parte di te”. Invece ora è lo stesso. Se lei è felice lo sono anch’io, se è preoccupata non dormo la notte. Chissà cos’è che ci lega così ai nostri figli, forse davvero il fatto di averli tenuti dentro di noi per ben nove mesi, di aver imparato a riconoscere il loro singhiozzo, i loro movimenti. Fatto sta che quando vengono fuori ci rendiamo conto che da quel momento la nostra vita non sarà più la stessa, per sempre. Perché ogni loro respiro condizionerà il nostro, ogni loro parola sarà così importante per noi da nutrircene come un cibo speciale e ogni loro preoccupazione ce la porteremo dentro come un macigno che toglie la ragione. E’ sabato sera e vedo che ti prepari con cura. “Esci con Andrea?” chiedo spensierata. Tu interrompi il trucco e con la matita nera a mezz’aria mi guardi, fai un sospiro e poi mi comunichi che esci con Pietro, l’infame. Ti domando se è uno scherzo, ma tu piuttosto nervosa rispondi che non scherzi affatto e per favore che io non cominci con le solite prediche. Scopro che è finita la storia con la tua migliore amica e lui di nuovo ci prova con te. Non posso credere alle mie orecchie. Non puoi essere così stupida, sei mia figlia accidenti, non è possibile che tu non abbia ereditato almeno un grammo della mia dignità. Non mi rendo conto che sto gridando frasi senza senso, ma sono così furiosa che non riesco a fermarmi. Capisco dal tuo sguardo allibito che sei sconvolta e che non mi avresti mai creduta capace di una simile reazione. Io la madre comprensiva, aperta, disponibile, ora ti urlo che non uscirai da questa casa perché ci tengo troppo a te per stare guardare mentre che fai a pezzi la tua vita. Ma hai 17 anni, mi ricordi glaciale e uscirai qualunque sia il mio pensiero. Tu padre dice che esagero. Forse si, ma non posso farci niente. Cerco di guardare un film per non pensarci, ma in realtà non seguo niente. Penso solo a cosa stai facendo in questo momento, a come ti lascerai abbindolare ancora una volta da un cretino che non ti merita. Ancora pena, ancora delusione. Poi lo scatto della serratura e sei tu di ritorno. Mi aspetto di vederti con gli occhi lucidi di pianto, trattengo il respiro e chiudo gli occhi un momento. Sì sto esagerando. Ma l’amore di una madre non è mai esagerato. “Ciao ma’” Il tono brillante della voce mi costringe ad aprire gli occhi. Sei sorridente, splendida, come non ricordo di averti mai visto. Ti domando se va tutto bene e tu ti siedi vicino e me e attacchi raccontare che non sei mai stata meglio, che con Pietro ci sei uscita solo per prenderti una piccola rivincita, che in realtà non è che ti interessasse ancora un granché di lui, ma volevi finirla alla pari questa storia e così hai lasciato che lui ti invitasse ti chiedesse se volevi di nuovo riprovarci e poi serafica hai risposto che hai capito che non era proprio amore vero e quasi ringrazi la tua amica che si è messa in mezzo al momento giusto, così tu ti sei resa conto dell’errore che avresti fatto. E per dirla proprio tutta stai uscendo con un altro e ci sono i presupposti per una bella storia, uno serio, uno che non gioca con i sentimenti degli altri. Le parole escono dalla tua bocca come un fiume in piena e io ti ascolto stupita, quasi trattenendo il respiro per non perdermi nemmeno una sillaba. E poi? “E poi gli ho fatto pagare il conto e mi sono fatta accompagnare a casa” concludi. Mi dici che ti dispiace di quella litigata fatta prima di uscire, che ti sei morsa la lingua per non parlarmi delle tue intenzioni, ma che questa era una storia tua, che dovevi gestire tu e un mio consiglio magari ti avrebbe confusa. La guardo ancora una volta e sento dentro di me che sta accadendo qualcosa di straordinario, il tuo volto di bambina scompare e si sovrappone quello di una donna. Gesù, questa è mia figlia e se la sa cavare anche senza di me, senza la mia ansia, senza i miei consigli, senza le mie raccomandazioni. Cammina per il mondo a testa alta e affronta le situazioni con coraggio e non ha bisogno di me. Ma quando è successo questo passaggio? Quando è stata l’ultima volta che pendeva dalle mie labbra per un consiglio e mi adorava? Ok, ce la posso fare. Se è così che deve andare avanti la vita va bene, ci sto. Troverò una nuova maniera di amarti. E già so che sarà meravigliosa. Come te.
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