Pubblicato su Confidenze N. 10 Marzo 2015
Questa è la storia di una donna che ho il privilegio di avere per amica, una donna che ha tanto da insegnare a ciascuno di noi, perché ha fatto della sua vita un capolavoro di cui andare fiera.
Quarantanove anni fa, una coppia di sposi che vive a Milano, aspetta un bimbo. Sono giovani, lavorano sodo perché la vita costa cara, ma sono innamorati e certi che la forza del loro amore basterà per ogni cosa.
La casa è piccola, ma con entusiasmo ed emozione si dedicano ai preparativi della cameretta per il loro bimbo. Ancora non esistono strumenti sofisticati come l’ecografia, dunque non possono sapere che anziché un bimbo, ne sono in arrivo due.
Fin da subito però la gravidanza si presenta difficile: Rita la futura mamma, è costretta a letto per un lungo periodo e a soli sei mesi e mezzo di gestazione, partorisce. Nascono due minuscole bambine, troppo piccole per rimanere al mondo. Una delle due si arrende e muore dopo pochi giorni, mentre l’altra, che riesce a sopravvivere, a causa della lunga permanenza in incubatrice senza protezione agli occhi, perde la vista irrimediabilmente.
Le viene dato il nome Irene e questa è la sua storia.
Non voglio raccontare dello sgomento, del dolore e della disperazione di questa giovane coppia che fa ritorno dall’ospedale con una sola bimba destinata a non vedere mai la luce del sole.
Chi può descrivere l’impegno, le energie e la fatica di crescere una bambina che non vede?
Imparare ad avere occhi anche per lei, che muove i primi passi e non vede ostacoli e soprattutto non comprende perché; raccontarle che è una bambina speciale perché sente meglio di molti altri, intuisce, ascolta, assaggia e tutto ciò che non vede cerca di possederlo e conoscerlo attraverso gli altri sensi, che sono la sua forza e la sua stella polare.
Come si fa a insegnare a tua figlia a farsi strada nella vita, se questa strada lei non la scorge?
Devi diventare il suo sguardo, il suo respiro, devi precedere i suoi passi per evitare che si faccia del male, devi incoraggiarla perché non si lasci prendere dallo sconforto, devi continuamente essere la sua luce, affinché non si perda nel buio.
Gli anni dell’infanzia di Irene io non li ho conosciuti, lei è entrata nella mia storia il primo giorno delle scuole superiori, quando una bidella l’ha accompagnata nella mia classe e l’ha fatta sedere dietro un banco, senza tante spiegazioni.
Ci raccontò che aveva frequentato la scuola elementare e le medie presso l’istituto per ciechi a Milano e che aveva scelto questa scuola perché voleva diventare centralinista e quindi le sembrava importante imparare le lingue straniere.
Era ora di entrare nel mondo dalla porta principale, diceva, perché si era stufata di stare in panchina.
Non furono anni facili, ma Irene non si scoraggiò mai.
Non era certo una povera ragazzina indifesa, sua madre aveva lavorato con profitto sulla sua autostima e lei studiava e veniva interrogata e svolgeva compiti e verifiche esattamente come le altre compagne.
La mamma la accompagnava e la veniva a riprendere ogni giorno, sentinella sempre vigile. La portava al mare, a visitare città d’arte, e musei e monumenti. Le aveva insegnato a vestirsi con cura, ad abbinare i colori, a scegliere le stoffe più morbide e più delicate, a lavarsi con cura e pettinarsi e mettersi del buon profumo, delle collane originali, e bellissimi anelli alle dita.
Irene ci raccontava del suo amore per la lettura, per la TV, soprattutto le piacevano i programmi raccontati da una voce che ne descrive le scene, era sempre informata su ciò che accadeva nel mondo, e già allora aveva chiarissime idee e orientamenti politici, contrariamente a me, che a sedici anni ancora ciondolavo nel mondo fantasticando di volare via lontano.
Era così concreta che certe volte la sua disciplina e la sua saggezza infastidivano noi inquiete adolescenti e ci ritrovavamo a spettegolare su di lei, dimenticando completamente la sua disabilità e soprattutto la sua incredibile maturità.
Terminata la scuola, dopo alcuni anni ha lasciato Milano per trasferirsi a Fidenza in Emilia Romagna, dove risiedevano alcuni suoi parenti, sempre per l’accortezza che mamma Rita aveva avuto guardando lontano, quando lei e suo marito un giorno, non ci sarebbero più stati.
Non ci siamo mai perse di vista Irene ed io, perché l’amicizia, come dice la mia terzogenita, è una grande cosa che vale sempre la pena coltivare.

Era presente al mio matrimonio, ha imparato a conoscere ed amare i miei tre figli, e ancora oggi ogni tanto, prenota il treno con l’assistenza e viene da me per qualche giorno di vacanza e di chiacchiere.
I nostri figli ci osservano e si domandano come sia possibile che Irene sappia usare con tale disinvoltura il computer e il cellulare, abbia un profilo Facebook e un indirizzo mail.
Cinque anni fa ha perso il papà al quale era tanto legata: figura silenziosa che aveva relegato alla moglie il difficile compito di crescere una figlia diversamente abile.
Mamma Rita e figlia si sono strette vicine e sono andate avanti.
Ma il tempo ingordo che vola via veloce, si è preso anche la mamma lo scorso anno, dopo una lunga malattia durante la quale Irene si è presa cura di lei con pazienza e dedizione.
A cinquant’anni sta imparando a cucinare, a far funzionare una lavatrice, a stendere e ritirare il bucato, a passare l’aspirapolvere. Si è rimessa in gioco ancora una volta con coraggio e determinazione.
Quando mi chiama e mi racconta della sua vita, io mi sento così orgogliosa di essere sua amica, a tal punto che mi viene quasi da ridere quando la gente mi dice il contrario.
Loro non sanno quanto sono fiera di lei quando mi racconta della sua fatica di andare avanti giorno dopo giorno, della solitudine, che certi giorni le gela il cuore anche se è circondata da tante persone e del suo desiderio mancato di una famiglia. Sono io ad essere privilegiata per il dono della sua amicizia.
Lei invece se la ride di gusto e con il suo pragmatismo mi dice: “Non preoccuparti Giovi, io ci sono abituata, la gente è troppo presa da se stessa per accorgersi di chi le sta intorno”.
Ci sono persone che vivono una vita straordinaria senza essere andati sulla luna, senza aver scritto best seller, senza aver partecipato a talent show.
Sono straordinari per il solo fatto di compiere ogni giorno azioni che per noi sono quotidiane mentre per loro rappresentano una sfida continua.
La figlia della mia amica Katia, una volta, di ritorno da una passeggiata, vedendo Irene cavarsela alla grande, si animò all’improvviso e disse: “Irene tu non sei diversamente abile, sei abilmente diversa!”
Eccolo qui il segreto della felicità, piccolo, perfetto, splendido.
Ha ragione il Piccolo Principe quando scrive che non si vede bene che con il cuore, perché l’essenziale è invisibile agli occhi.
è vero Irene è una Grande, ha la forza, il coraggio, la determinazione che tutti noi dovremmo avere nella vita……
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Sì amica, noi ne sappiamo qualcosa…
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