Il signor Giuseppe Merola è un giovanotto di 89 anni dal quale secondo me avremmo tutti molto da imparare.
Io lo conosco da tanti anni, lui era il marito della mia maestra delle elementari, e ogni volta che mi capita di incontrarlo, mi riempie il cuore di tenerezza.
A pochi mesi dal traguardo dei 90, ha una mente ancora lucida e attiva, una simpatia travolgente, una grande curiosità per ciò che gli accade intorno, e soprattutto possiede una grande dono: scrive poesie.
Quando l’ho incontrato al seggio elettorale dove era venuto a votare con la caparbietà di chi ancora crede nel valore del voto, abbiamo trascorso insieme un piacevole momento e la foto che sua figlia la carissima Rosa Maria, ha scattato, rimarrà per me sempre un bellissimo ricordo.
Ma non solo.
Una volta fatto ritorno a casa il signor Merola ha scritto una poesia in occasione del nostro incontro intitolata “Casuale incontro” ed io ne sono rimasta talmente lusingata che ho deciso di condividerla con voi amiche, attraverso le pagine di questo blog.

LA POESIA
Questa bella storia mi ha fatto riflettere sul significato della poesia, che personalmente considero la forma più alta e nobile della scrittura e alla quale ho sempre pensato come qualcosa che ahimè purtroppo non mi appartiene per niente.🙄🙄
Eppure se è vero il vecchio adagio che recita : “Italia paese di poeti, navigatori e santi”, significa che le persone che si dedicano a questa forma di scrittura sono molte più di quanto si possa immaginare.
Per molto tempo abbiamo pensato al poeta come a colui che vive staccato dalla realtà quotidiana, chiuso tra le mura della sua stanza a scrivere versi che nessuno leggerà mai.
In realtà sono quasi sicura che a tutti noi almeno una volta nella vita, è capitato di scrivere un’emozione, una frase, una poesia, un racconto che poi magari abbiamo rinchiuso e lasciato ingiallire dentro un cassetto.
Perché non esiste modo più bello e autentico che esprimere i nostri sentimenti attraverso la scrittura per poi tornare a rileggerli e sentire di nuovo quell’emozione provata allora e mai più dimenticata.
Si scrivono poesie per celebrare una grande felicità, un amore nuovo, una nascita, un incontro, oppure per dare voce a un immenso dolore, una perdita, un distacco, una delusione.
Quello che spesso perdiamo però è l’opportunità di fare dono della nostra poesia a coloro ai quali mancano le parole per descrivere il proprio stato d’animo, e che volentieri prenderebbe in prestito le nostre.
“La poesia è una grazia, una possibilità di staccarsi per un po’ dalla terra e sognare, volare, usare le parole come speranze, come occhi nuovi per reinventare quello che vediamo”. Monica Vitti
Io faccio davvero fatica a esprimere i miei pensieri in poche parole (ve ne sarete accorte 😅) e ammiro profondamente coloro che hanno questo grande talento: con pochi semplici versi ci aprono il loro cuore invitandoci ad entrare.
E siccome un blog che si rispetti ha assolutamente bisogno di un po’ di poesia, oggi, amiche care vorrei chiedervi di darmi una mano.
Mi piacerebbe molto dedicare uno spazio alle vostre poesie, quelle già scritte o ancora da scrivere, lunghe, brevi, in rima o in prosa, ciò che conta è che siano frutto dei vostri pensieri e delle vostre riflessioni, poesie che magari stanno aspettando da tempo di essere lette da qualcuno.
Se me le invierete prometto solennemente di averne grande cura e rispetto come si conviene per ciò che è prezioso.
Quindi ecco la modalità che vi propongo:
Inviate la vostra poesia (lunga, breve, in rima, in prosa) a questo indirizzo mail: giovannafumagallibiollo@gmail.com
precisando se preferite rimanere anonime o se volete pubblicare il vostro nome e magari anche una vostra presentazione 😊😊
Per me sarebbe un grandissimo onore dedicarvi uno spazio.
Oggi voglio augurarvi buona domenica con una delle più belle poesie di Eugenio Montale che io amo moltissimo
HO SCESO DANDOTI IL BRACCIO
Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.