Una famiglia speciale

Pubblicato su Confidenze n. 36 Settembre 2014

Stringo tra le braccia questo piccolino e non so più quali sentimenti provare.

Nell’ultimo anno di vita li ho sperimentati un po’ tutti, prima il dispiacere, poi la rabbia, la rassegnazione, la speranza e adesso lo guardo e penso che sia arrivato il momento della gioia, anche se non ne sono del tutto sicura.

La mia amica Pia mi dice che ne ho il diritto dopo tutto quello che ho passato.

Solo un anno fa ho perso mio marito, il cancro me l’ha portato via in pochi  mesi. Potevamo goderci la pensione, tanti progetti, tanta voglia di stare insieme e invece è finito tutto a nemmeno sessant’anni.

Mi sono fatta coraggio per Angelo, il mio unico figlio, e Lara sua moglie, li vedevo così fragili, senza un figlio in quasi dieci anni di matrimonio, non volevo che questo grande dolore andasse a caricarsi sulle loro spalle.

Ma non è servito a nulla, avevo già capito da un pezzo che il loro matrimonio era naufragato in mezzo alle liti e alle colpe che ciascuno infliggeva all’altro senza pietà. Com’è possibile aver amato tanto una persona e poi trovare il coraggio di  ferirla così gratuitamente, senza un minimo di rimorso?

Si sono separati e Lara se ne è andata.

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Un gatto per amico (anzi 12!)

pubblicata su Confidenze n. 33 Agosto 2010

Dedicata alla mia amica Paola,
gattara fin dentro l’anima, persona speciale
che 12 anni fa mi ha fatto quel grande regalo che è la mia Bijoux

Questa è una storia che parla di gatti.

Quindi se non vi piacciono i gatti o non volete leggere storie inverosimili che raccontano fino a dove possa spingersi un umano che ama questi animali, meglio che lasciate perdere.

Tutto è cominciato qualche settimana fa davanti ai voti finali esposti a scuola.

Io ero disperata. Debito di matematica. Fino all’ultimo ho sperato di cavarmela, non credevo proprio che la mia prof. volesse punirmi in questo modo.

Ero in compagnia della mia amica Arianna che cercava di farmi coraggio e mi veniva così da piangere che avevo paura di scoppiare in lacrime davanti a tutti gli altri studenti. Niente vacanza a Friburgo con le mie compagne, niente oratorio estivo, niente casa al mare.

Insomma mi vedevo già china sui libri circondata da innumerevoli gatti.

Perché dovete sapere che mia madre e mio padre adorano i gatti.

Ma non si limitano ad amarli incondizionatamente, loro fanno parte di non mi ricordo quale associazione che si occupa di recuperare i gatti randagi, sterilizzarli e poi donarli a chi naturalmente promette di prendersene cura. A volte queste gatte arrivano in procinto di partorire, quindi la casa si riempie di cuccioli di gattini che rimangono con noi almeno per otto settimane.

E’ pazzesco lo so, per questo vi dicevo che se non amate i gatti è meglio che lasciate perdere questa storia perché non ce la fareste proprio a capirla.

E naturalmente poiché ogni gatto ha diritto alla sua privacy, in questo momento abbiamo il bagno occupato da Camilla che ha appena partorito due gattini, in mansarda Bijoux che allatta tranquilla e indisturbata tre piccoli di nemmeno un mese, in soggiorno passeggia Lulù, solitaria e in attesa di trovare qualcuno che sopporti le sue unghie lunghe, e la sua inesauribile voglia di giocare.

In camera dei miei c’è Romeo che è senza un occhio e se ne sta per i fatti suoi e in camera di mio fratello che per fortuna non c’è perché sta a Roma a studiare, abbiamo un’intera famiglia di gatti, madre, padre e tre fratellini.

L’unico locale nel quale non ci sono animali è la mia camera, perche mi sono rifiutata fin dall’inizio di averli tra i piedi.

Se devo dire tutta la verità anche a me piacciono molto i gatti, mentirei se dicessi il contrario, ma sinceramente certi giorni mi pesa un po’ questo viavai di gente che viene a vederli li sceglie, se li porta via, poi telefona, chiede informazioni e quando mia madre non c’è, tocca a me prendermi nota di tutto.

Insomma capirete che non è una situazione facile anche se ci sono talmente abituata che spesso non ci faccio nemmeno caso.

Comunque torniamo a noi, anzi a me che tre settimane fa stavo davanti al tabellone che diceva a chiare lettere che avrei avuto un debito di matematica.

Stavo rimuginando su questa terribile sventura quando una voce dietro di me mi ha fatto sussultare.

“Hai bisogno di ripetizioni?”

Mi sono girata e a momenti svenivo. Claudio. Non un Claudio qualunque, beninteso.

Claudioilragazzopiùcarinodellascuoladelqualesonoinnamorataperdutamentedaalmenounanno, non so se mi spiego.

Era la prima volta che mi rivolgeva la parola e il cuore ha cominciato a battere così furiosamente che avevo paura mi esplodesse.

“Scusa?” gli ho risposto come una cretina mentre cercavo disperatamente di farmi venire in mente qualcosa di più intelligente da dire.

“Ho visto che hai il debito di matematica. Se vuoi qualche ripetizione io ci sono”.

Naturalmente ho risposto sì al volo certa che non sarei stata così fessa da sprecare una simile occasione.

Cosi ci siamo accordati che la settimana successiva, sarebbe venuto lui da me perché a casa sua ci sono gli imbianchini. Quella mattina sono andata dal parrucchiere mi sono vestita con cura e ho pure preparato una torta per l’occasione.

Claudio è arrivato puntuale e bello come il sole. Oddio ero pazza di felicità.

L’oblio è durato meno di dieci minuti.

Dopodiché Claudio ha attaccato con una fila interminabile di starnuti, continuando a scusarsi perché proprio non capiva cosa gli stesse succedendo. Io ero più imbarazzata di lui in verità e non sapevo fare altro che passargli fazzoletti.

Quando mia madre ha bussato per chiedere se tutto andava bene, con in braccio la piccola Bijoux, c’è mancato poco che Claudio cadesse dalla sedia.

“Oddio adesso capisco: non mi avevi detto di avere un gatto” ha esclamato allibito.

“Veramente questa è una gatta e al momento in casa ne abbiamo dodici” ha risposto mia madre.

“Cosa?” Claudio è saltato in piedi come se l’avesse morso una tarantola.

Io ho cercato di calmarlo chiedendogli cosa stesse accadendo e alla fine ho scoperto che Claudio è allergico ai gatti da quando è nato.

Nel giro di due secondi lui ha preso la sua roba e se ne è andato di casa nonostante tutti i miei tentativi di convincerlo e rimanere, ma era veramente terrorizzato.

Ma vi rendete conto? Allergico ai gatti! Praticamente in casa mia non avrebbe più potuto mettere piede.

Abbiamo provato a trovarci in biblioteca per studiare, ma è stato un disastro, perché ogni volta che cercavo una scusa per avvicinarlo, lui attaccava di nuovo con gli starnuti probabilmente dovuti a qualche pelo di gatto rimasto sulla mia maglietta.

A un passo dal concludere qualcosa con il ragazzo più carino della scuola e per il quale ho una cotta da mesi, tutto si frantumava sotto i miei increduli occhi.

Perché la vita è così ingiusta e crudele?

Ho trascorso giorni di vero sconforto, ero nervosissima e una sera a tavola sono persino sbottata chiedendo perché mai non potevamo essere una famiglia normale come tutte perché proprio a noi era toccato di salvare tutti i gatti del pianeta tirandoceli in casa?

Quella sera mia madre mi ha raggiunta in camera cercando di farmi ragionare, ma soprattutto di capire il motivo della mia reazione. Povera mamma, ero così arrabbiata che le ho risposto che mi erano indifferenti e che mi sembrava veramente esagerato tenerne così tanti.

Non dimenticherò mai la sua espressione delusa e ancora oggi se ci penso mi si stringe il cuore. Che poi i gatti miei gatti alla fine guai chi me li tocca.

Nel frattempo ho accettato le ripetizioni di Roberto, un amico di mio fratello. D’altra parte il debito di matematica continuava ad esserci e pur con il cuore spezzato dovevo andare avanti.

Roberto era noiosissimo, ma molto bravo e in pochi giorni ho fatto grandi progressi. Una sera mi ha chiesto di uscire a mangiare una pizza e ho accettato.

Perché no mi sono detta? Anch’io voglio godermi un po’ di estate.

La cosa pazzesca è che usciti dalla pizzeria, stavamo attraversando la strada per raggiungere il parcheggio, quando abbiamo visto un gatto attraversare di corsa la strada proprio mentre transitava un’auto che l’ha investito di striscio.

Io ho urlato e ho chiuso gli occhi senza trovare il coraggio di guardare.

Ma quando li ho riaperti sono rimasta basita: Roberto era già chino sul povero gatto, si era tolto la giacca e l’aveva avvolto con cura. Mi ha guardato e mi ha chiesto se me la sentivo di tenerlo in braccio.

“Ma certo ho risposto”.

Siamo volati da un veterinario suo amico e l’abbiamo fatto visitare.

Il veterinario ha deciso di operarlo subito perché era un po’ preoccupato e quindi siamo rimasti in sala d’aspetto per almeno due ore. E così parlando del più e del meno, ho scoperto di questo suo amore per i gatti.

“Beh mi risulta che anche tu sia così no? Tuo fratello mi racconta sempre di quanto la tua famiglia si prodighi per queste povere bestiole”.

Mi sono sentita un verme e non ho risposto.

Comunque Milù (abbiamo saputo che era una femmina per giunta incinta) si è salvata, me la sono portata a casa dove è stata accolta con il consueto affetto e credo che adesso ci terrà compagnia per un bel po’.

Ecco la storia per il momento termina qua.

Ancora non so se passerò l’esame di matematica, ma sto andando piuttosto bene con lo studio.

E ancora non so come finirà la mia amicizia con Roberto.

Però dentro il cuore mi è rimasta una lezione importante che ho imparato. E sono molto, molto fiera di me stessa.     

Farò ammenda nella vita

Pubblicata su Confidenze n. 39 Settembre 2014

E mi ha baciata anche stamattina, come ogni giorno da venticinque anni a questa parte. Mi bacia per amore, per affetto, per abitudine, non importa, a me importa il suo bacio che è un rinnovo della promessa del suo amore.

Sto parlando di mio marito, dell’uomo che ho sposato venticinque anni fa e che amo ancora come il primo giorno. E’ la persona migliore che esista, è un uomo buono, colto, bello, dolcissimo.

Dal nostro matrimonio sono nati due splendidi figli ora grandi che ci hanno riempito la vita e tuttora ci danno tante soddisfazioni.

Abbiamo entrambi un buon lavoro, una casa, non manca niente alla nostra felicità.

So di tante coppie che fanno fatica ad andare avanti, altre si sono arrese davanti alle difficoltà e si sono separate, perché con loro la vita è stata forse molto più severa.

Invece per quanto ci riguarda, siamo proprio felici.

Nonostante tutto.

Nonostante il fatto che vent’anni fa io lo abbia tradito.

Vorrei poter scrivere che è stata una scappatella, che mi sono ripigliata subito, che non ha avuto nessun valore per me. Ma mentirei.

Quando amo, amo profondamente con tutto il cuore e investo ogni fibra del mio corpo e della mia mente. E ho amato quell’uomo, senza smettere mai di amare mio marito.

Ci ho pensato tanto prima di scrivere questa storia, temevo il giudizio di chi legge, la durezza di chi critica senza conoscere le situazioni.

Sono stata così anch’io, un tempo.

Non avevo pietà per gli errori degli altri, sempre pronta ad alzare il dito dall’alto del mio piedistallo di perfezione.

Poi ho capito.

Ho capito che Qualcuno dall’alto ci spinge in un certo senso a passare attraverso le situazioni, per imparare a capire gli altri, a metterci nei loro panni, prima di esprimere un giudizio.

E se oggi racconto questa storia è perché spero che porti un po’ di pace nel cuore di chi come me ci è passata, perché voglio rassicurare le persone che hanno amato più volte, che si può commettere un errore, ma si può anche rimediare e scegliere di fare la cosa giusta.

Una volta avevo chiesto ad un sacerdote come potessi rimediare a un simile peccato, e lui aveva risposto che se tu hai tradito ma hai compreso di aver sbagliato, e che tuo marito è la persona che ami, che vuoi andare avanti a costruire la vita insieme a lui, allora è meglio tacere anziché scaricare il peso su di lui, meglio fare buon uso di questa esperienza per diventare una compagna migliore e per contribuire al tuo cammino di coppia con più energia e convinzione. Insomma, fare ammenda nella vita.

Ecco io questo ho cercato di fare.

Per tutta la vita mi sono impegnata per essere una buona moglie, una brava madre, mi sono dedicata al volontariato anima e corpo, cercando di dare una mano a chiunque ne avesse bisogno, senza risparmiarmi, perché mi pareva in questo modo, appunto, di fare ammenda.

Oggi chi mi conosce, pensa bene di me e non sa che porto questo peso nel cuore e ancora qualche volta mi domando se mi basterà il resto che ho da vivere per farci  pace.

Paolo lavorava in ospedale come me, lui medico e io infermiera.

Potrebbe sembrare la solita storia squallida, ma vi giuro che non è andata così.

All’inizio non c’era la minima attrazione tra di noi, anche perché tra medici e infermieri esiste una certa gerarchia che consente di mantenere le distanze gli uni dagli altri.

Non ci crederete ma l’ho conosciuto al supermercato che stava di fronte all’ospedale.

Quel giorno io stavo facendo la spesa trafelata come al solito e lui mi ha chiesto informazioni perché si era appena trasferito e non conosceva niente e nessuno. Abbiamo scoperto di lavorare nello stesso ospedale anche se in reparti diversi: lui è chirurgo, mentre io a quell’epoca ero in reparto di medicina.

Ci si incontrava qualche volta alla macchinetta del caffè, per le scale, in mensa, senza nemmeno guardarsi. Io non ero in cerca di una storia, lui nemmeno.

Ma certe volte è il destino che si diverte a giocare alle nostre spalle.

Una sera poco prima di Natale, durante la festa tradizionale per i dipendenti che si teneva ogni anno, quando sono uscita per fare ritorno a casa, la mia auto non ne ha voluto sapere di partire.

Lui si è avvicinato, ha dato un’occhiata e poi si è offerto di accompagnarmi a casa.

Durante il viaggio mi ha detto che non si era mai accorto di quanto fossi carina, sempre nascosta in quella divisa da infermiera ed è stato in quel preciso istante che ho fiutato il pericolo. Ho sentito il cuore fare una piccola dispettosa capriola e una voce dentro che mi suggeriva di lasciar perdere.

E’ stata la mia presunzione a farmi credere che potevo gestire benissimo la situazione.

Benissimo un corno.

Lui era sposato senza figli. Sua moglie era rimasta nella vecchia casa perché troppo distante dall’ospedale e non voleva perdere il lavoro, così si vedevano nei fine settimana.

Da quel giorno ho cominciato a guardarlo con occhi diversi, a rendermi conto che in effetti era proprio un bell’uomo che aveva un modo di fare che faceva sentire uniche.

Se mi raccoglievo i capelli in un certo modo me lo faceva notare con un complimento, se una mattina osavo con un po’ di trucco, mi diceva come sei carina. Ecco, Paolo mi faceva sentire speciale.

Quanto abbiamo bisogno noi donne di qualcuno che ci faccia sentire uniche?

Purtroppo, nella fretta di vivere, nella quotidianità che ci logora, non sempre i nostri mariti trovano il tempo o l’occasione per farci un complimento.

Non possiamo biasimarli, è vero, ma ciò non significa che a noi non faccia piacere. Basta così poco certe volte a renderci felici.

Paolo ha cominciato ad arrivare con un cioccolatino in tasca, a lasciare memo appesi nel mio armadietto, a non perdere occasione di avvicinarsi a me con qualche scusa.

Forse saremmo andati avanti così per sempre, senza nient’altro. Una relazione diventa tale quando ti ci metti dentro fino al collo.

Qualche volta noi donne giochiamo con queste cose, ma senza rischiare, non vogliamo certo giocarci la famiglia per due sorrisi o un fiore.

Però che brividi sentirsi desiderata.

E così il primo bacio furtivo, traditore è arrivato quando meno me lo aspettavo, in ascensore, tra un piano e l’altro. Ci siamo baciati, una volta due, dieci, ci siamo baciati fino allo sfinimento, ogni volta come se fosse la prima e al tempo stesso l’ultima.

Oddio com’ero viva e felice e incosciente.

Il giorno dopo i rimorsi mi pesavano sul cuore come un macigno. Gli lasciavo biglietti nei quali giuravo di non volerlo più rivedere che mi vergognavo di me stessa e lui era sempre d’accordo con me.

Certo, a parole.

Poi ci si rivedeva e di nuovo esplodeva la passione. Fughe rocambolesche, salti mortali per incontri brevi  ma intensi, eravamo pazzi l’uno per l’altra e niente ci poteva fermare.

La cosa sconvolgente che ricordo è che al di fuori di questo rapporto esclusivo, entrambi continuavamo la nostra vita come se nulla fosse.

Io con la mia famiglia e la nostra routine, lui con sua moglie che incontrava nei fine settimana. Mai una volta abbiamo parlato di divorzio, di separazione, di lasciare la nostra vita.

Nessuno di noi lo desiderava e per quanto mi riguarda io volevo soltanto stare con lui e in quei momenti sentirmi al centro del mondo, bella, desiderata, appagata.

Siamo andati avanti un anno, non domandatemi come, eppure sono sicura che mai nessuno si è accorto della nostra storia.

Poi sua moglie ha avuto un trasferimento di lavoro e lui per seguirla, ha chiesto e ottenuto di andare in un altro ospedale, a 200 chilometri di distanza.

Quando me l’ha detto ho provato quasi un sollievo perché sapevo che questo sarebbe stato l’unico modo per allontanarci definitivamente.

Ci siamo salutati con un abbraccio alla festa di addio organizzata in suo onore, senza aggiungere una parola ma con la tacita promessa che nessuno dei due avrebbe più cercato l’altro.

E cosi è stato per vent’anni.

Con il cuore a pezzi, ma il desiderio di rimettere insieme i cocci della mia vita, mi sono rimboccata le maniche e ho ricominciato da capo. Non avevo mai smesso di essere una buona madre e una buona moglie, ma se possibile ho cercato di migliorare ancora.

Non nascondo soprattutto all’inizio di averlo sognato giorno e notte, e mentre sognavo, andavo avanti con la mia vita mettendoci tutto l’impegno possibile. Facendo ammenda, appunto.

Con mio marito ho sempre taciuto.

Mai e poi mai gli avrei spezzato il cuore  raccontandogli la verità: era colpa mia, e mio sarebbe stato il peso da portare. Mi dicevo che anche questo era amore, in fondo.

Certi giorni mi domando se nell’errore ho agito bene, se aver lavorato tanto in questi anni, servirà a scontare la mia colpa. Poi ci sono giorni in cui non mi rimprovero nulla, se non di aver troppo amato.

Penso ai miei figli, al loro amore per me e mi dico che se perdessi la loro stima, potrei anche morire oggi stesso. Po stamattina è suonato il telefono ed era lui che mi cercava, infrangendo la promessa.

Il respiro mi è mancato per un momento: possibile che dopo vent’anni questa voce mi faccia ancora questo effetto?

Mi ha chiesto un incontro, il tempo di un caffè, soltanto se lo volevo. Si, lo volevo, anche solo per la curiosità di vederlo dopo tutto questo tempo.

Poi adesso sono forte mi sono detta, non ho più trent’anni.

E ci sono andata in quel caffè, dove lui mi ha raccontato di essere rimasto vedovo, ha perso sua moglie un anno fa per un tumore e ha cercato di rimettere insieme la sua vita, nel dolore e io posso solo immaginare che dolore.

Non sono mai riusciti ad avere figli  e adesso la solitudine gli sta togliendo la voglia di andare avanti.

Mentre mi racconta della sua vita lo guardo  e rivedo quel volto che ho accarezzato infinite volte, quelle labbra che ho baciato con passione e quegli occhi nei quali mi sono perduta totalmente e mi domando come ho potuto?

“Viola, non sono qui per chiederti di buttare via la tua vita, ci mancherebbe altro. Avevo soltanto voglia di rivederti, e ti chiedo perdono per questo egoismo che non ho saputo trattenere, volevo stringere le mani di una donna che ho molto amato e per la provo ancora qualcosa. Ma non ho il di diritto di chiederti niente. La nostra storia è finita tanto tempo fa e ora so che abbiamo fatto entrambi la cosa giusta lasciandoci per continuare la nostra strada. Però lasciami dire che sei ancora bellissima, forse più di vent’anni fa e che tuo marito è davvero un uomo fortunato ad averti accanto”.

Come è possibile? Mi domando, com’è possibile che stiamo qui a parlare di un amore che non sarebbe nemmeno dovuto esistere, di una colpa grande quanto il mondo che  non basterà una vita a redimere?

Eppure, ne parliamo come la cosa più bella e più pura del mondo.

Mi viene in mente quella stupenda poesia di Prevert, “Questo amore, così fragile, così tenero, così disperato, cattivo come il tempo quando il tempo è cattivo. Questo amore che faceva paura agli altri e li faceva impallidire…”

Questo amore che si prende gioco di noi, che ci illude, ci trascina su e giù per le montagne russe del nostro cuore, ci deride, ci umilia, ci rende pazzamente felici e desolatamente tristi, ci investe di rimorsi e di meraviglia al tempo stesso e noi lasciamo che tutto accada, impotenti di fronte a tanta forza e tanta determinazione.

So che basterebbe un mio gesto, un parola e tutto di nuovo ripartirebbe come una giostra.

Nonostante tutto sorrido. Sorrido per questa mia fragilità che quando meno me la aspetto si trasforma in forza, sorrido per tutti i miei errori che sono fioriti diventando saggezza.

Riconosco ogni singolo sbaglio commesso e non cerco giustificazioni.

Ora basta però. Ho quasi cinquant’anni e la vita che mi rimane da vivere me la voglio godere alla luce del sole. Voglio essere degna dell’amore di mio marito, che senza saperlo ha fatto in modo che io fossi felice nonostante quello strappo nel cuore di tanti anni fa.

Voglio poter guardare negli occhi i miei figli e dire sì, ho sbagliato ma adesso non sbaglio più.

Abbraccio Paolo e gli auguro ogni bene, e poi imbocco il cammino della libertà e l’aria non mi è mai sembrata più fresca.

“…Questo amore perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora cosi vivo
E tutto soleggiato
E tuo
E mio
E stato quel che è stato”