ALDINA
Stamattina quando ho aperto gli occhi, ho creduto per un momento di stare ancora nel mio letto, nella casa di via Ripesecche. Mi pareva quasi di sentire mia madre in cucina che preparava la colazione.
Il profumo del caffè mi solleticava le narici e lei non aveva mai bisogno di venire a svegliarmi, perché bastava quell’aroma a farmi saltare giù dal letto.
Le mattine in cui faticavo ad alzarmi, facevo un gioco, mi sforzavo di trovare qualcosa di buono nella giornata che mi attendeva e che mi avrebbe dato la forza per affrontare tutto il resto.
Quando ho compreso che il letto nel quale stavo distesa stamattina, era lo stesso del giorno prima e del giorno prima ancora, e le pareti spoglie che mi circondavano erano quelle della mia piccola camera in convento, ho richiuso gli occhi e ho tentato disperatamente di fare di nuovo quel gioco.
La preghiera del mattino, la colazione, l’ora di meditazione e di silenzio, il lavoro nell’orto o nella guardaroberia, di nuovo la preghiera, di nuovo il silenzio e infine il sonno, piccola tregua prima di un nuovo giorno.
Rassegnata, ho tirato indietro le coperte e mi sono messa a sedere, i piedi hanno toccato il pavimento gelido e il gioco è finito.
La campana del risveglio è suonata puntuale alle 4.30, ma io ero sveglia da un pezzo.
Stavo inginocchiata ai piedi del letto e fissavo il crocefisso di legno che avevo di fronte, le mie ginocchia invocavano una tregua per il dolore, ma io mi ostinavo a rimanere immobile, in attesa di un segno che temevo di perdere se mi fossi mossa anche solo impercettibilmente.
Alla fine di un tempo che mi parve infinito, con grande rassegnazione, avevo baciato il rosario che tenevo tra le mani e con un segno di croce concludevo che forse Dio avrebbe trovato un altro modo per esaudire la mia richiesta.
Uscendo dalla camera per dirigermi alla cappella, ho incontrato suor Cristina e ho istintivamente allungato il passo per raggiungerla, consapevole che questo gesto avrebbe aumentato le mie mancanze della settimana.
“Suor Cristina aspettami!” ho chiamato alzando inavvertitamente la voce.
“Sshhh vuoi farci punire entrambe? Conosci la regola suor Aldina, nessuna conversazione fino all’ora di dialogo” ha risposto guardandosi furtivamente alle spalle.
“Ti chiedo scusa suor Cristina, ma ormai abbiamo già infranto la regola, non possiamo scambiare due parole?” ho insistito.
“Abbiamo già peccato abbastanza anche se ci fermiamo qui, quindi ti prego di lasciar perdere. Meno male che oggi è giovedì, giorno di confessione” ha proseguito quasi senza rendersi conto “e meno male che Padre Alfio è ammalato, così il padre che lo sostituisce non saprà che tutte le settimane commettiamo sempre le stesse mancanze”.
“Non sapevo di questa novità”ho risposto stupita più per il fatto che lei ne fosse a conoscenza che non per la notizia in sé.
“Ho sentito ieri la Madre Superiora parlare al telefono”.
“Dunque hai un peccato più di me da confessare” ho concluso sorridendo affettuosamente alla giovane suora, la quale, alzando gli occhi al cielo, ha accelerato il passo e se ne è andata.
Dopo le Lodi mattutine e la colazione, la reverenda Madre ci ha chiesto di portarci nella cappella per le confessioni, informandoci che Padre Andrea avrebbe sostituito Padre Alfio per qualche tempo.
Appena ho varcato la soglia della cappella, l’odore acre dei muri scrostati dal tempo e dall’umidità, la vista dell’antico, imponente confessionale, hanno confermato ancora una volta l’assurdità del mio essere lì e non altrove.
Mi sono calcata il velo in testa per coprire le orecchie dagli spifferi, rimproverandomi per la mia sbadataggine che non mi aveva fatto indossare un golfino in più sotto l’abito monacale, e ho interpretato tutto questo come un’ulteriore punizione per le mie colpe.
“Comincia tu suor Aldina”
La voce severa della Madre Cappellana mi ha distolto dai pensieri.
Mi sono avvicinata al confessionale, e con la stessa angoscia con cui un condannato sale al patibolo, mi sono lasciata inghiottire dall’abitacolo angusto che mi stava dinanzi.
“Beneditemi Padre perché ho peccato”ho recitato istintivamente inginocchiandomi.
“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”
La voce profonda del Padre ha unto il mio corpo come un balsamo che lenisce antiche ferite.
Sono rimasta in silenzio nella speranza che questo turbamento svanisse.
“Sorella dimmi i tuoi peccati” mi ha sollecitato dolcemente.
A quel punto, posseduta probabilmente da uno spirito maligno, mi sono avvicinata alla grata fino a sentirla pungermi il naso nel disperato tentativo di mettere a fuoco il volto del primo uomo che da quando sono al mondo, ha toccato le mie viscere più profonde, con il semplice suono della sua voce.
Un giovane volto rasato di fresco, con spessi occhiali e capelli scuri.
Teneva gli occhi chiusi, e le dita lunghe e affusolate stringevano con forza un piccolo rosario di legno. Mi era talmente vicino da sentire il suo alito odoroso di incenso.
“Talvolta…ho desiderio di fuggire, perché mi pare che questa non sia la vocazione giusta per me ” mentre queste parole escono dalla mia bocca, mi accorgo di non essere più padrona di ciò che dico.
Padre Andrea rimane in silenzio un breve istante, forse per valutare la potenza di ciò che ha appena udito. Poi apre gli occhi e io mi perdo nei due laghi più azzurri che abbia mai incontrato in vita mia.
“E quale credi possa essere la tua vocazione sorella?”
“Non lo so, ma gli uomini mi fanno paura e qui dentro mi sento al sicuro”.
“Questo non è un rifugio sorella, ma una scelta. Pensa bene a ciò che fai. Possiamo ancora cambiare il corso del destino”.
Mentre uscivo dal confessionale, ho realizzato che aveva parlato al plurale.
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