Diversi anni fa ho frequentato un corso di scrittura creativa durante il quale ci era stata offerta l’opportunità di scrivere una storia. La storia di nonna Aldina ce l’avevo in cuore da molti anni, ma mancava sempre l’occasione giusta per raccontarla. Quando però ho iniziato a trasformarla in parole, quando i personaggi hanno cominciato a prendere vita attraverso la mia penna, ho capito che non c’era niente di più meraviglioso di questo. E’ rimasta nel cassetto per molto tempo e oggi ho deciso di fare ciò per cui le storie sono nate, condividerla. Ogni settimana attraverso le pagine del mio blog, ne pubblicherò un capitolo. Spero che l’amerete, come l’ho amata io. E aspetto fiduciosa come sempre i vostri commenti.
Buona lettura
MIRANDA
Miranda spostò i pesanti tendaggi verde scuro, guardò fuori dalla finestra e si accorse che si era fatto buio. Aveva perso completamente la cognizione del tempo. Erano ore che girovagava per le stanze di quella casa troppo grande, accarezzando mobili e cuscini, posando lo sguardo sui quadri pregiati, le suppellettili impolverate, i tappeti consumati da tutti quei passi che li avevano calpestati.
Dio che fatica entrare in una casa senza vita, una casa così intrisa di ricordi da rischiare di rimanerne soffocati.
Ci era cresciuta in quella casa, conosceva ogni angolo, ogni nascondiglio, ogni fessura, distingueva dallo scricchiolio delle scale di legno, il passo di chi le saliva e le scendeva: la nonna, il nonno, la Elvira, fidata governante di una intera vita.
Se ne erano andati tutti uno dopo l’altro, dentro una scia di dolore difficile da dimenticare.
E adesso era rimasta lei, unica erede e testimone di una famiglia complicata e difficile.
Sua madre un po’ ci aveva sperato di ereditare la casa, ma la lettura del testamento aveva spazzato via ogni dubbio: la casa apparteneva a Miranda e con essa, tutto ciò che vi era custodito, incluso il bene che aveva ricevuto.
Miranda aveva ancora ben stampati nella mente i fine settimana trascorsi con sua madre, nei camerini polverosi di teatri dimenticati, ad aspettare paziente che finisse di recitare in quegli spettacoli eterni. Odiava il teatro, ancora adesso si rifiutava di andarci, responsabile di averle rubato la sua infanzia.
Ma poi per fortuna arrivava la domenica sera, e con lei quel viaggio in auto avvolta in una coperta che sapeva di chiuso e di polveroso, ma Dio quanto lo amava quell’odore.
Sua madre arrivava davanti all’imponente cancello e il nonno era lì, pronto ad accoglierla in uno di quegli abbracci che tolgono il respiro talmente sono avvolgenti.
“Andiamo Mirandina che la nonna ha preparato la torta di mele”
“Torno sabato mattina, mi raccomando” ripeteva prima di salire in auto e allontanarsi in tutta fretta.
Partiva e in un momento era già ricordo.
Quel “mi raccomando” la faceva solo ridere, perché nessuno meglio dei nonni, avrebbe saputo prendersi cura di lei, certamente non sua madre.
Se non ci fosse stato l’amore dei nonni e di Elvira non ce l’avrebbe fatta a scampare alla durezza della vita.
Si riprese dai ricordi impastati di gioia e dolore e facendo appello al suo povero coraggio ormai usurato, salì le scale e raggiunse la camera da letto dei nonni.
Prima ancora di entrare, Miranda percepì il profumo di nonna Aldina, così intenso, che per un breve istante credette di trovarla ancora lì seduta nella sua poltrona di pelle rossa accanto alla portafinestra, dove aveva trascorso tante ore intenta a spiare attraverso le tende il giardiniere che si prendeva cura dei suoi fiori.
Ma nonna Aldina non c’era più, e Miranda ricordò a se stessa l’urgenza di cominciare ad accettare questa perdita immensa.
Non appena varcò la soglia, i ricordi la travolsero come un fiume in piena. Al centro della stanza troneggiava il grande letto matrimoniale nel quale da piccola si era rifugiata tutte le volte che gli incubi avevano popolato le sue notti; di fronte l’armadio a muro con i pochi abiti che la nonna aveva indossato negli ultimi mesi prima che la malattia la consumasse. La poltrona desolatamente vuota è ancora accanto alla portafinestra vicino all’antico scrittoio in mogano che nonna Aldina amava definire “il rifugio dei ricordi”. Quante volte l’aveva sorpresa china a scrivere seduta a quel tavolo!
Si avvicinò adagio, sfiorò con delicatezza il ripiano di cuoio verde segnato dal tempo e poi si sedette, quasi con il timore di fare un torto alla nonna occupando quel posto che le era appartenuto per tanti anni.
Alzò lo sguardo e vide la cassettiera a due ripiani, due piccoli cassetti per ogni lato e al centro una minuscola porta intarsiata.
Chissà quale storia racchiudeva quello scrittoio, chi l’aveva costruito, come era arrivato a Villa Aldina.
Miranda cominciò ad aprire i cassetti più per il bisogno di ritrovare qualche ricordo che non per la necessità di fare pulizia.
Trovò documenti, fatture, e soprattutto tante fotografie, tutte riposte dentro piccoli album con precisione e ordine.
Le guardò velocemente per paura che quelle immagini destassero altri ricordi troppo felici per poter essere tollerati.
Poi un pensiero la invitò ad aprire la porticina e rimase quasi delusa quando vide che all’interno non vi era nulla.
Stava per richiuderla quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Sulla parete in fondo c’era una piccola sporgenza, dello stesso colore del mobile, quasi invisibile a prima vista. Miranda la premette leggermente e di scatto la parete si aprì rivelando un piccolo spazio. Fu allora che lo vide per la prima volta, e subito si rese conto che si trattava di un diario.
Esitò un istante prima di prenderlo, quasi timorosa di violare un segreto. Di nuovo percepì il delicato profumo della nonna, accarezzò la copertina rossa di morbido tessuto e infine si decise a prenderlo. Lo tenne tra le mani per un tempo indefinito, come si tiene un pezzo di storia, poi il desiderio e la curiosità ebbero il sopravvento, fece un lungo sospiro, quindi aprì la prima pagina. (continua…)
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