Figli di qualcuno Capitolo 4: il finale

Figli di qualcuno capitolo 1

Figli di qualcuno capitolo 2

Figli di qualcuno capitolo 3

ANDREA

Siamo due pazzi.

Chissà cosa credevamo di fare. Lei dice che si sono rotte le acque e va tutto bene, ma io sono sudato fradicio, ho la testa nel pallone e una paura maledetta.

Io voglio chiedere aiuto, non posso e non voglio prendermi questa responsabilità, non ce la faccio , lo so che un sono un cacasotto, ma me ne frego, adesso faccio finta di andare in bagno e scrivo a qualcuno.

Sì ma a chi?
A mia sorella?
“Ciao senti Chiara sta partorendo, hotel Kappa verresti a darci una mano?”
Sicuro le faccio venire un colpo e poi non è mica un’ostetrica.

Ecco potrei scrivere a Viola la migliore amica di Chiara.
“Non ti posso spiegare ma vieni subito è urgente ti prego”.
Che fesseria, non sa niente di parti penserebbe a uno scherzo di pessimo gusto.

No, no, devo pensare a chi potrebbe darci una mano concretamente.

Dovrei guardare la rubrica del mio cellulare ecco cosa dovrei fare. Sono sicuro che troverei qualcuno che fa al caso nostro. Ma come diavolo faccio a convincere Chiara che abbiamo bisogno di aiuto?

Potrei fingere di andare in bagno e guardare con calma.
“A cosa pensi?”
Arrossisco come un cretino, quasi mi avesse letto nel pensiero.
“A niente. Come stai?”
“Le contrazioni sono aumentate. Quando arrivano fanno un male cane. Senti Andrea mi sa che manca poco, il bambino sta per nascere. Sai cosa devi fare vero? Mi raccomando non fare cazzate”.

”Sei sicura che ce la faremo? Che tu non corri rischi insomma?”

“Piantala hai capito?” La devi piantare, ti ho già detto che andrà tutto bene. Ma ti pare che devo essere io a tranquillizzare te? Ti ho portato qui per darmi una mano santo Dio e tu hai accettato quindi farai quello che c’è fa da fare va bene? Quando il bambino è uscito, tagli il cordone ombelicale, lo avvolgi nella coperta e lo metti nella borsa che ho portato, scendi giù e lo metti nel cassonetto che abbiamo visto all’ingresso. Andrea hai capito? Aaaahhhhhh un’altra contrazione, merda!”

C’è come una lucida follia nei suoi occhi che non avevo mai visto prima d’ora. Non avrei mai immaginato che volesse davvero arrivare fino a questo punto e invece lo sta facendo, mi sta chiedendo di buttare un bambino, il nostro bambino, in un cassonetto come fosse un rifiuto qualunque.

“Devo andare in bagno”.

“Va bene ma sbrigati”.

Mi manca il respiro, mi tremano le mani, non riesco nemmeno a far scorrere la rubrica del cellulare.

Chi chiamo? Chi? A, Alberto, no non va bene non lo sento da una vita, Arianna, la mia ex figuriamoci, B Becky e chi cazzo è sta Bechy? C casa , per carità

D, don Dario, Daniela, Danilo..

Aspetta, don Dario, è il  prof di religione, ma come mai ho il suo numero?

No non verrà, penserà che mi sono fumato qualcosa. E poi cosa gli dico?

“Andreaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa”

CHIARA

Ma cosa sta facendo in quel bagno? Gesù sto malissimo.

Prima tra una contrazione e l’altra riuscivo a riprendermi ma adesso sono continue incessanti, cerco di controllare il respiro ma non ce la faccio.

Ecco adesso devo spingere come per andare di corpo, è terribile come se qualcuno mi spaccasse in due, e se non ce la faccio?

 “Andreaaaaaaaaaaaaaaaaaa”

ANDREA

Vedo i suoi capelli. Bagnati, scurissimi, appiccicati alla testa. Dio mio è proprio un bambino, ed è nostro.

Chiara cerca di non urlare ma il suo viso è alterato per lo sforzo che sta facendo.

“Non guardare me, guarda lui”.

“Si si ok sta uscendo Chia, prendi fiato e spingi ancora una volta, ci siamo, te lo giuro ci siamo”.

L’urlo di Chiara viene coperto dal suono lacerante di una sirena per fortuna.

Sguscia fuori sporco e scivoloso come un’anguilla e mi fa un po’ribrezzo prenderlo tra le mani, ma esito solo un istante. Le forbici, il cordone, la coperta.

Chiara è da pazzi, da pazzi, questo è un incubo, non è possibile che stia davvero succedendo, ho 18 anni e sono le 4 del mattino, dovrei essere nel mio letto e non in questo posto surreale.

CHIARA

Questi non erano gli accordi.

Prima di tutto dovevi essere un maschio.

Se fossi stato un maschio sarebbe stato tutto più semplice.

Invece sei una femmina. Come me. Anzi migliore di me. Io sono una disgraziata.

Tu cosa sei invece? Pensa non lo saprai mai perché io non ti permetterò di scoprirlo.

Ora che sei uscita mi sento così vuota che non sono nemmeno sicura di riuscire a stare in piedi.

Non ti guardo, tengo ostinatamente gli occhi chiusi ma Andrea è assillante. Lui vuole che io ti guardi perché così facendo pensa che possa cambiare idea. Perché lui l’ha cambiata e questo l’ho capito.

E stato sorprendente. C’è stato un momento in cui ho pensato che stesse per crollare, invece da quando è uscito dal bagno ha preso in mano la situazione. Io ho partorito e lui ha fatto tutto il resto.

No, non ti guarderò, perché finché non ti guarderò tu non esisterai. E dovevi essere un maschio.

ANDREA

Ha pianto appena un poco, quasi a non voler disturbare. Adesso ce l’ho in braccio e mi sento come se stessi galleggiando in acque oscure. Chiara tiene gli occhi chiusi, non sa cosa si sta perdendo.

Non è cattiva, ha soltanto una paura matta, io la capisco, altroché se la capisco, ma se lei l’avesse vista come l’ho vista io questa personcina mentre ce la metteva tutta per venire al mondo, venire fuori da quel buco profondo, lasciare il certo per l’incerto, sicuro cambierebbe idea.

Ce ne vuole di coraggio per nascere e questo non l’ho capito solo ora.

Sei perfetta. Così brutta con la pelle raggrinzita, eppure ti guardo e penso a un miracolo.

“Chiara guardala ti scongiuro, guardala e dimmi se vuoi davvero che la butti via.”

L’arrivo del messaggio mi fa sussultare.

“Sono qui. Salgo o scendi tu?”

Sale o scendo. Testa o croce? Un istante per decidere tre destini.

Chiara finalmente apre gli occhi.

CHIARA

Per certi versi vorrei che questo viaggio in ascensore non avesse mai fine. Noi tre rinchiusi qui dentro come un guscio che ci protegge.

Una cosa alla fine l’ho imparata: che sono forte anche quando non so di esserlo e questo per il momento può bastare.

ANDREA

Di tutte le cose che dovrebbero passarmi per la testa, mentre con una mano stringo quella di Chiara e con l’altra tengo mia figlia, mi torna alla mente una frase che mia madre tiene appesa sul frigorifero in cucina:

“Un figlio è la portiera della macchina che sbatte all’alba.
Un figlio è quel corpicino che hai portato a casa tanto tempo fa…incredibilmente sempre la stessa persona”.

Non l’ho mai capita fino ad oggi, e adesso è tutto chiaro.

Ehi piccolina pensa l’assurdo, io sono quello che sbatte la portiera e tu quella che sto portando a casa.

Alla fine siamo tutti figli di qualcuno.

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