Pubblicato su Confidenze N. 47 Novembre 2015
Finalmente sei arrivata!
Ti sto aspettando dal primo giorno in cui mi hanno detto che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla, come scriveva la Fallaci nel suo libro indimenticabile “Lettera a un bambino mai nato”.
Non avrei mai creduto di arrivare fino a questo giorno, forse per scaramanzia, mi dicevo che sarei morta prima, che il Cielo non mi avrebbe fatto questo dono, perché diventare nonna, non è altro che uno stupendo, magnifico, inaspettato dono.
Diventare madre è più semplice in fondo, più scontato.
Ti fidanzi, ti sposi, poi arrivano i figli, li cresci e comincia quell’altalena faticosa di gioie e dolori, di preoccupazioni e compiacimenti destinata a non avere mai fine, una responsabilità che se ci pensi ti toglie il respiro, e che devi vivere giorno per giorno, perché a guardare troppo avanti, rischia di spezzarsi cuore talmente grande è la fatica.
Ma diventare nonna è tutta gratuità, gioia allo stato puro, un cerchio che si chiude e nemmeno te ne rendi conto, il compimento di tante storie che finalmente trovano un senso. Guardare negli occhi una creatura minuscola e non sentire il peso di doverla crescere, educare, sfamare, vestire, ma guardare lontano e scorgere soltanto risate, lunghe passeggiate, coccole, regali.
Piccola Lara, tu riempirai di nuovo le mie giornate che erano diventate vuote e insignificanti, darai di nuovo un senso ai miei risvegli e so che la vita tornerà ad avere sapore.
Non ho resistito e ho chiamato Giorgio in ufficio pur sapendo che era impegnato in una riunione importante con i coreani, ma l’ho volutamente interrotto, perché mi sembrava che davvero stavolta ne valesse la pena.
Peggio per me, me la sono cercata, perché appena ha risposto al telefono mi ha chiesto se per caso la nostra casa non avesse preso fuoco. Mi sono morsa la lingua per non insultarlo e riattaccare senza aggiungere parole, poi ho pensato a Lara, a questo dono meraviglioso del destino e con la voce più dolce che potessi avere, gli ho detto che era diventato nonno.
Per tutta risposta, dopo un silenzio durato un’eternità, mi ha chiesto come mai questo strano nome, che quello di sua madre, Giuseppina, gli sembrava tanto adatto. Con la lingua ormai sanguinante, ho chiuso la comunicazione decisa a non farmi rovinare la giornata.
Mi ha detto: “Se riesco a liberarmi in tempo stasera passo in ospedale a trovarle. Non so ancora se ce la farò, perché dopo i coreani mi aspettano in banca per sistemare delle questioni di lavoro e poi devo andare da un cliente complicato. Insomma il lavoro è lavoro, ho un’azienda da gestire e non posso mica dire a tutti: scusate sono diventato nonno prendo una settimana di ferie. Tanto sono sicuro che penserai tu a tutto”.
L’ho raccontato a Veronica, nostra figlia e lei mi ha risposto che non poteva certo dargli torto, visto che non ho parlato d’altro in questi mesi e soprattutto ho speso una fortuna per acquistare, doppio passeggino, doppio seggiolone, abitini, scarpine e non so cos’altro.
“E’ proprio vero che non si finisce mai di mantenere la propria famiglia” mi ha ripetuto più volte. Ma non serve raccontarlo a Veronica perché suo padre lo adora.
Quando è nata, Giorgio era in Turchia, sempre per lavoro. Certo è nata con una settimana di anticipo, ma la sua vita è come una roulette russa, sarebbe stato veramente difficile in ogni caso averlo a casa quel giorno. Mia madre che viveva a 200 km di distanza, perché quando mi sono sposata ho lasciato la mia famiglia per seguire lui e la sua azienda, è arrivata prima di lui. Quando è nato Gianluca, il nostro secondogenito, stava tornando da Parigi.
“Mari ce la fai a resistere? Sono in aeroporto”. Come se si potesse partorire a comando.
Non posso dire che sia un cattivo padre, solo molto assente. Io ho lasciato il lavoro quando ci siamo sposati e la nascita dei nostri figli è stata la mia salvezza: ero sola in un paese sconosciuto con un marito sempre lontano da casa, se non fossi rimasta subito incinta sarei impazzita. Poi per fortuna mi sono fatta delle amiche e gli anni sono passati veloci.
Ogni tanto lo aggiornavo sui loro progressi scolastici, gli ricordavo le date importanti, le comunioni, le cresime il giorno del loro matrimonio, per essere sicura che non prendesse impegni, ma è stato veramente faticoso. Oppressi come eravamo dai nostri rispettivi ruoli, non ci siamo accorti di esserci allontanati così tanto e oggi, che è nata Lara, non so perché, mi è venuta voglia di fare bilanci e dopo quasi trent’anni di matrimonio, non sono per niente buoni. Lo so che ho la mia parte di torto per carità.
Non so quante volte mi ha chiesto di partire con lui, quando aveva in programma un viaggio di affari. Forse avrei capito meglio la realtà in cui viveva, fatta di responsabilità, di fatica, di conti da far quadrare. Avrei capito il significato della frase “Tutto quello che faccio lo faccio per te e per i nostri figli”.
Lo so, non ci è mai mancato niente. Lui ha sofferto molto da bambino per la sua umile origine, a casa sua si faticava ad arrivare a fine mese e non c’erano mai soldi per niente. Ha giurato a se stesso che non avrebbe mai permesso alla sua famiglia di vivere in queste condizioni. Ha lavorato sodo per arrivare dove è ora e a quasi sessant’anni, ne va fiero.
Crede che io non lo capisca. Che siccome dovevo occuparmi di crescere i nostri figli da sola, le mie fossero solo scuse per non seguirlo. Non sa che in verità era il pensiero di trascorrere tanto tempo da soli che mi atterriva.
A casa io colmavo il mio bisogno di validità: crescere due bravissimi figli, tirare la casa sempre a lucido, impegnarmi nel volontariato, mi faceva sentire utile. Seguirlo nei suoi viaggi, vedere i suoi successi lavorativi, il suo stipendio generoso, non faceva altro che abbassare il mio cielo di un altro palmo.
Lo so che mi ama, ma è veramente da troppo tempo che non me lo dice e io non so se sono ancora disposta ad aspettare. E se non arriva in tempo per vedere la sua nipotina, stavolta non lo perdono. C’è un limite a tutto, che diamine. Non posso credere che questo evento lo lasci indifferente. Non posso credere che il lavori lo ostacoli anche in un momento come questo.
Un nipote ti cambia la vita, cambia la prospettiva con cui guardi il mondo, il telegiornale della sera e il mutare delle stagioni. Ti convince di essere eterna, perché qualcuno che ha capelli o occhi del tuo colore continuerà a guardare la vita al posto tuo, un giorno.
Alcuni mesi fa abbiamo comprato un piccola casa in Liguria, con l’intenzione di passarci qualche mese con la piccolina.
“Casomai vi raggiungo” era stato il suo commento.
Ma io sono stanca di essere raggiunta. Ho voglia di camminare a fianco di mio marito spingendo orgogliosa una carrozzina con una bimba che un po’ ci appartiene. Ho di nuovo bisogno di sentirmi bella e desiderabile e non voglio che tra qualche anno con aria severa come solo i bambini sanno fare, Lara mi dica: ”Nonna sei vecchia, hai le rughe”. Voglio godermi questo nuovo tempo fino a che mi sarà possibile, ma non voglio fare tutto questo da sola. Non più.
Non ho mai tradito Giorgio e sono certa che nonostante le occasioni non gli siano mancate, nemmeno lui lo ha mai fatto, anche se è ancora un bell’uomo. Ma basta forse non tradire per salvare un matrimonio? Questo è amore?
L’ho presa in braccio ed è come se l’universo intero avesse cominciato a girare a rovescio. Come se di colpo fossi stata catapultata indietro di trent’anni e avessi avuto tra le braccia Veronica, no anzi è ancora più bello. Credevo che diventare madre fosse l’esperienza più pazzesca della mia vita, ma guardare questo scricciolo e pensare che sia figlia di mia figlia, oddio, è ancora di più, e quasi troppo per me. Vorrei trattenere le lacrime e non sembrare patetica agli occhi di mia figlia, ma chissenefrega, sono talmente rimbambita che quasi ci vedo il naso di mia madre.
“Ciao piccolina, benvenuta” le sussurro scostandomi un poco da Veronica per avere il privilegio di poter conversare con mia nipote che ha due ore di vita.
“Ma tu lo sai quanto ti ho aspettata? E quanto ci divertiremo insieme tu ed io? E quanto sia meravigliosa questa vita alla quale ti sei affacciata oggi? Lo vuoi stringere un patto con me?” le dico offrendole il mignolo che lei inconsapevolmente afferra con tutta la forza di cui è capace
“Io per te e tu per me. Per sempre. OK?”
Poi mi giro e lui è li in piedi che ci guarda con gli occhi lucidi. Dunque è arrivato.
Si dondola sui due piedi come fa sempre quando è incerto sul da farsi.
So che aspetta un qualunque cenno da parte mia, so che questo istante segnerà i momenti che ancora ci sarà dato di vivere insieme, so tutto, eppure rimango impietrita. Non tocca a me stavolta.
Si avvicina a prende fiato.
“Ciao” mi dice.
Sorrido ma non parlo, non voglio rendergli le cose facili.
“Ok sono un cretino va bene? Anzi sono un nonno cretino, che è peggio”
“Stai andando bene, vai avanti” rispondo.
“Mi spaventa l’idea di diventare nonno. Mi fa sentire vecchio, stanco, mi pare quasi che segni l’inizio di un tramonto che mi ostino a non voler vedere. Per questo volevo trovare una scusa per rimandare questo momento. Ma non potevo lasciarti sola. Non oggi. Al diavolo la banca e i coreani. Forse diventare nonno sta cominciando a fare effetto, perché sto già facendo cose che non avrei mai pensato di fare. Ho chiamato la segretaria, ho annullato tutti gli appuntamenti per oggi e per domani, e sono venuto qui, per vedere Lara. Che diamine una nipote mica nasce tutti i giorni.
Poi appena sono entrato in camera e ti ho visto, mi è mancato il fiato. Non ti vedevo con quel sorriso da anni, con quegli occhi luminosi da secoli. Ecco perché sono un cretino. Perché avevo questa responsabilità e l’ho dimenticata”
“Quale responsabilità?” domando con un filo di voce intimorita da quel fiume in piena.
“Quella di renderti felice”.
“Ok, per il momento può bastare. Ti presento Lara” dico con gli occhi pieni di lacrime.
Sento che ogni cosa andrà al suo posto nella giusta misura. O perlomeno che ci impegneremo nel farlo. E stranamente, sono felice.