pubblicato su Confidenze n.25 giugno 2017
Ho sempre pensato che la mia storia d’amore fosse già scritta. Ne ero felice.
Mi sono innamorata di Giacomo quando avevo vent’anni. Una sera durante un’uscita con amici, c’era anche lui, spuntato fuori da non so dove.
All’inizio non gli ho dato troppa importanza, poi me l’hanno presentato e abbiamo cominciato a parlare del più e del meno, niente di che, ma è bastato perché il mio cuore cominciasse a mandare strani segnali.
Abbiamo iniziato a frequentarci, abbiamo conosciuto le rispettive famiglie, abbiamo vissuto e goduto di questo amore per tanti anni, e una volta terminati gli studi e trovato un lavoro, io ero pronta a mettere su famiglia.
Giacomo ha cominciato a parlare di convivenza.
Diceva che sposarsi costava una fortuna ed erano soldi buttati via.
A 27 anni non mi sembrava di buttare via soldi pensando a un matrimonio. Sono una ragazza un po’all’antica, ho sempre sognato un matrimonio tradizionale con l’abito bianco, fiori,foto e tutto quanto. Quando ho parlato ai miei genitori di convivenza, ferventi cattolici, gli si sono rizzati in capelli in testa.
Ho faticato non poco a spiegare loro che era per risparmiare un po’ di soldi e per cominciare a vivere insieme, che lo desideravamo tanto. Quando devi convincere qualcuno di qualcosa di cui tu stessa sei poco convinta però, si fa il doppio della fatica.
La convivenza mi ha sempre dato l’impressione di una porta lasciata aperta, di qualcosa di poco impegnativo, dove la parola per sempre non veniva contemplata.
Ma ero veramente innamorata e avevo una tale voglia di cominciare la nostra vita a due, che sentivo che sarebbe andato tutto bene e che nel giro di poco tempo saremmo convolati a nozze.
All’inizio sembrava davvero andare tutto a meraviglia. Certo le differenze dei nostri caratteri e delle nostre abitudini ci hanno portato a scontrarci mica poco, ma quando sei innamorato credi di poter cambiare l’altro, di aggiustare le cose che non funzionano, di essere felice, prima o poi, perché l’amore gioca un po’ di questi scherzi, ti fa sentire potente, ti fa credere che basti a se stesso e che alla fine stare insieme non è poi cosi difficile.
E’ stato più o meno dopo un anno che ho cominciato a percepire che qualcosa non funzionava, il problema era che non capivo cosa, e quindi andavo avanti diritta per la mia strada.
Mi dicevo che erano i primi tempi, che avevamo bisogno di conoscerci, che ci voleva pazienza.
Lui ha un lavoro impegnativo che lo costringe spesso in trasferta per diversi giorni, io sono infermiera e faccio i turni in ospedale, per cui c’erano giorni durante i quali ci si sentiva a malapena per telefono.
Ma appena potevo proponevo uscite con amici, week end romantici, serate sul divano a farci le coccole e a raccontarci quanto era bella la nostra vita.
Insomma, una storia funziona se decidi che deve funzionare, se decidi di amare ogni giorno la persona che hai al tuo fianco, senza arrenderti alle prime difficoltà. Ma questo era il mio pensiero, non quello di Giacomo.
Il suo di pensiero me l’ha condiviso la sera in cui mi ha lasciata, quando ha concluso dicendo: “Meno male che non ci siamo sposati altrimenti adesso sarebbe stato un gran casino”. Dunque era questo il problema, quando non sei sicuro di amare scegli la convivenza?
“Adesso è dura Gloria, lo so,ma vedrai che quando incontrerai la persona giusta, sarai contenta di non avermi sposato, perché io non sono l’uomo giusto per te”.
Certo lui la sapeva lunga, conosceva i miei pensieri oltre ai suoi.
I primi tempi da sola nemmeno li voglio ricordare.
Affrontare la mia famiglia, i colleghi di lavoro, gli amici, ritrovarmi in una casa che odorava di lui in ogni angolo, che aveva lasciato tracce ovunque. Agli occhi degli altri nemmeno tanta compassione. Se c’è stato un matrimonio del quale loro sono stati testimoni, allora lo riconoscono il tuo dolore, ma due ragazzi che convivono da un anno e poi si lasciano, non lasciano traccia, non fanno rumore.
Ma io il dolore lo sentivo, eccome se lo sentivo, impastato di delusione, di frustrazione e giorno dopo giorno sentivo come un peso dentro e fuori di me che mi tirava giù togliendomi la forza di reagire.
Mi sono trascinata avanti così per settimane, non volevo tornare a casa dai miei che pur mi avrebbero accolto e non volevo rimanere in quella maledetta casa che avevamo scelto insieme e che lui aveva lasciato perché ne stava già occupando una nuova.
Certe sere, ero talmente devastata, che mi sedevo sul pianerottolo di casa perché l’idea di entrare mi rivoltava lo stomaco. Sostavo sui gradini e guardavo la porta attraverso la quale mi aveva portata in braccio Giacomo la prima volta che eravamo entrati. E piangevo.
Poi, siccome la vita alla fine non aspetta che tu ti riprenda da certe batoste, ma ti impone di andare avanti, una sera, mentre stavo sui gradini, mi ha fatto conoscere Claudia che abita al piano di sopra.
Ha sceso le scale con due birre in mano, si è seduta accanto a me e me ne ha passata una. Ho tirato su con il naso e ho cominciato a bere in silenzio.
“Abito al piano di sopra e sono stufa di sentirti piangere”.
Ho bofonchiato qualche scusa e lei mi ha chiesto cosa ci rimanevo a fare ancora in quella casa se faceva così male.
Quando le ho detto che avevo l’affitto pagato per altri due mesi è scoppiata a ridere.
“Tu sei pazza. A casa mia si è liberato un posto se ti interessa,la mia coinquilina se ne è andata”.
E’ cominciata così la mia seconda fetta di vita. Claudia fa parte di quegli incontri che ti sollevano dalle sabbie mobili, quando ci sei dentro fino al collo.
Ha la passione del teatro e recita in una piccola compagnia del mio paese, di cui ignoravo l’esistenza. La prima volta che mi ha portato con sé a vedere lo spettacolo, sono rimasta entusiasta dall’atmosfera che regnava tra quelle persone.
Ho scoperto che organizzano spettacoli teatrali a scopo di beneficenza e sono veramente affiatati tra loro anche nella vita.
Escono insieme, si divertono, sembrano felici. Quando mi hanno chiesto se volevo dare una mano mi sono detta perché no?
Non mi era mai capitato di sentirmi così utile divertendomi.
Sono trascorsi sei mesi e sono davvero volati.
La prossima settimana partiremo per Norcia, porteremo in scena lo spettacolo per quelle persone così duramente colpite dal terremoto. Abbiamo organizzato una raccolta fondi che destineremo a loro e speriamo di portare anche un po’ di allegria e serenità con la nostra presenza.
Mi hanno chiesto se voglio recitare una piccola parte per sostituire una ragazza, e sono eccitata al solo pensiero. Non ho mai calcato le scene di un teatro, ma non mi spaventa provare. Posso sempre scoprire di saper fare qualcosa e di saperlo fare bene.
Qualche volta ripenso alla mia vita di un anno fa e mi pare appartenga ad una altra persona .
Claudia l’altra sera mi ha chiesto se sono felice.
Ci ho pensato un po’ prima di rispondere.
Ho cercato ostinatamente la felicità nell’amore, e sono rimasta delusa.
Ma la felicità può essere altrove, tocca a noi saperla riconoscere e cogliere al volo.
Oggi ha un nome diverso e mi piace. Domani si vedrà.