ISABELLA
Dormo in una piccola stanzetta al piano inferiore, vicino alla cucina, partecipo alla vita del convento, prego con le suore pur non essendo del tutto convinta che ci sia Qualcuno che si interessi veramente a me e abbia a cuore la mia vita, (altrimenti non sarei finita come sono) e cerco di rendermi utile in qualche modo, perché nessuno abbia a pensare che io qui sia un peso.
Se soltanto sei mesi fa qualcuno mi avesse predetto il futuro, avrei riso come una pazza, pensando alla mia vita tra queste mura, dove il tempo scorre seguendo un ritmo che non ha nulla a che vedere con il mondo esterno.
Qui il dolore e la gioia faticano ad oltrepassare le spesse mura e giungono ovattate dentro il convento, non si sentono risate squillanti che spezzano la monotonia delle giornate, nessuno alza la voce né per discutere, né tantomeno per litigare.
La routine quotidiana logora e rincuora al tempo stesso.
Sdraiata sul letto, carezzo dolcemente il mio pancione e non penso ad altro che al momento in cui potrò vedere il mio bambino, perché tutto quello che faccio è solo per lui, unico vero senso della mia vita, unica cosa bella.
Il mio bambino. O la mia bambina. Mia e di nessun altro. Soprattutto non di quel pazzo che è riuscito persino ad arrivare al convento.
Nonostante il terrore che ho provato, mi viene quasi da ridere se ripenso al racconto di suor Aldina.
Stavamo cenando nel grande salone e sorridevo per una battuta che suor Aldina aveva tirato fuori come al solito in un momento poco opportuno, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero della Madre Superiora.
Un colpo violento al portone aveva turbato quel momento sereno.
“Vado io” suor Angelica si era ripulita con cura la bocca con il tovagliolo di ruvida stoffa bianca e si era alzata lentamente.
“Ti accompagno” suor Aldina era già in piedi e guardava la Madre Superiora in attesa di uno cenno di approvazione, che probabilmente si era solo immaginata.
Io ero rimasta immobile, seduta sul bordo della sedia, le mani intrecciate sul ventre e lo sguardo perso nel vuoto.
Le due suore avevano raggiunto a passi veloci il portone di ingresso.
Suor Angelica aveva aperto la feritoia e una voce di uomo l’aveva investita con violenza.
“Sto cercando Isabella”.
“Questo è un convento di suore di clausura, state cercando nel posto sbagliato” aveva risposto con calma apparente la Madre Superiora.
“Fatemi entrare, voglio controllare di persona! Sono settimane che la sto cercando e mi hanno detto che potrebbe essere nascosta qui dentro, aprite!”
Suor Aldina si era resa conto che suor Angelica tremava come una foglia, allora l’aveva spostata con delicatezza di lato per accedere alla feritoia e con voce tranquilla aveva risposto:
“Vi hanno informato male signore, la nostra regola ci vieta di ospitare estranei, come le ha detto suor Angelica, a nessuno è consentito di varcare questa soglia, tantomeno se si tratta di un uomo. Mi spiace che non riusciate a trovare la persona che state cercando, ma noi possiamo aiutarvi soltanto con la preghiera e vi garantisco che essa non mancherà. Arrivederci”.
Fece per rinchiudere la feritoia, ma svelto l’uomo infilò la mano impedendole di chiuderla.
“Un corno! Fatemi entrare oppure tornerò con la polizia! Se quella puttana si nasconde qui, stavolta la porterò via tirandola per i capelli”.
Suor Aldina era rimasta in silenzio, lentamente aveva spostato lo sguardo verso la mano callosa e con le unghie spezzate di quell’uomo, chiedendosi quanto dolore mi avesse causato, poi mi ha detto che in quel momento aveva pensato a sua madre, sedotta e abbandonata tanti anni prima da un uomo simile a quello, e anche a se stessa, alla figlia che era stata e alla solitudine che l’aveva protetta dalle ferite della vita. Quindi con calma, aveva posto fine alla conversazione richiudendo con decisione la feritoia.
Solo dopo l’urlo bestiale dell’uomo, l’aveva riaperta appena un poco, per consentirgli di ritrarre la mano ferita, e salutando con cortesia sotto lo sguardo di una suor Angelica sempre più sconvolta, si era diretta di nuovo al salone per terminare la sua cena, accompagnata dagli insulti dell’uomo che ormai giungevano da lontano.
Mi piace così tanto suor Aldina, siamo diventate amiche, confidenti, complici.
In realtà mi domando come ci sia finita qui dentro, perché proprio non ha nulla a che fare con le rigide regole del convento. Però le sono grata della sua vicinanza e della sua simpatia.
Mi spiace soltanto che sono giorni che non si sente bene.
E’ talmente debole da non riuscire nemmeno a tirarsi su dal letto.
Naturalmente il medico non ha capito un accidenti e non è stato in grado di fare una diagnosi. Lei però sta malissimo, dice che le scoppia la testa, ha sempre febbre alta e non riesce più a mangiare talmente la gola le fa male.
Sono preoccupata.
Come lei mi è stata accanto nei primi giorno terribili del mio arrivo al convento, io ora faccio lo stesso, non la lascio un momento.
Stamattina le ho chiesto se voleva mangiare qualcosa, ma il solo pensiero le ha provocato una nausea fortissima.
“Suor Aldina stai tranquilla, cerca di riposare un po’, sei troppo debole, non preoccuparti, rimango io accanto a te” le sussurro sfiorandole la fronte calda.
Sento il mio bambino sussultare nella pancia.
Manca così poco ormai, non posso pensare di partorire senza suor Aldina accanto a me.
“Ti prego rimettiti presto, non ce la posso fare senza di te”.
Nessuno mi ha mai voluto così bene.