MIRANDA
Avevo sei anni.
Me lo ricordo perché avevo iniziato a frequentare le prima elementare. Era sempre di domenica sera.
La mamma mi stava accompagnando dalla nonna che mi avrebbe tenuta con lei per un’intera settimana.
Piangevo perché non volevo perdere tutti quei giorni di scuola.
“Riportami a casa mamma ti prego”
“Miranda ne abbiamo già parlato non è possibile lo sai”.
Seduta nel seggiolino dell’auto, vedevo nello specchietto retrovisore il suo viso così bello, quel trucco perfetto, il caschetto di capelli biondi che ondeggiava lievemente quando parlava spargendo un profumo di lillà nell’abitacolo dell’auto che mi si depositava nel cuore come una piuma leggera.
Volevo diventare grande ed essere come lei, perfetta, bellissima, anche se lo sguardo, quello sguardo sempre triste sorvolava su di me senza sostare mai troppo a lungo.
“Mamma guardami, non ci voglio andare dalla nonna”.
Staccò gli occhi per un momento dalla guida e mi guardò nello specchietto.
“Miranda vado in trasferta, starò fuori casa tutta la settimana, non è una vacanza, è lavoro capisci?”
Come se una bambina di sei anni potesse comprendere.
“Ascoltami bene ragazzina, è meglio che impari a stare anche dove non vorresti essere, così farai meno fatica a vivere”.
Naturalmente non avevo capito niente di quelle parole. Non potevo immaginare che cosa si portava dentro mia madre, da tutta la vita. Non fino a stamattina quando ho letto il diario di mia nonna.
E’ come se finalmente qualcuno si fosse degnato di togliere un velo ricoperto da strati di polvere che nascondeva una storia sempre abbozzata, mai raccontata del tutto, una storia scritta a più mani che tutti custodivano nel cuore.
Quando arrivai, forse per la tristezza che lesse nei miei occhi, o le lacrime che mi avevano rigato il viso, la nonna mi accolse con una promessa.
“Se smetti di piangere ti porto a conoscere un posto speciale però deve rimanere un segreto tra di noi me lo prometti?”
Avevo preso la solita ciocca di capelli tra le dita e l’avevo arrotolata fino a sentire dolore.
La nonna stava lì, in piedi a fissarmi e sapevo che non si sarebbe mossa di un solo millimetro finché non avessi promesso.
“Lo prometto nonna” avevo sussurrato incrociando le dita dei piedi, perché le mani erano troppo in bella vista e avrebbe capito che ero in cerca di una via di fuga.
A sei anni è difficile fare promesse impegnative.
“Brava la mia donnina” aveva concluso carezzandomi il viso con la mano che sapeva di bucato.
Avevamo camminato a lungo, le scarpe erano troppo nuove per essere anche comode, non avevo immaginato che avremmo dovuto fare tanta strada.
“Nonna quanto manca?” m lagnavo “mi fanno male i piedi”.
“Poco tesoro, poco”.
Poi l’avevo visto, improvvisamente apparso dopo l’ultima curva.
“Siamo arrivati nonna?”
“Sì tesoro”.
“Che posto è questo?”
“Questo è un convento di clausura, Miranda, un luogo di silenzio e di preghiera dove vivono suore che non escono mai”.
“Perché mi hai portato qui nonna?” avevo infine domandato un po’ delusa.
“Voglio presentarti delle amiche vere”.
Non ho mai dimenticato quella visita al convento.
C’era un tale freddo appena entrate nonostante fosse primavera inoltrata, che mi era penetrato subito nelle ossa. Le suore ci avevano accolte con affetto, tutte mi carezzavano, chiamandomi la figlia di Sofia e io mi domandavo come facessero a conoscere mia mamma che recitava a teatro e non aveva mai messo piede in un convento.
Un segreto sopra l’altro, pesanti come mattoni di cemento.
Perché mi avevi portato al convento nonna? Sapevi che prima o poi avrei letto il tuo diario e volevi che vedessi che il convento era realmente esistito.
Mi si appanna la vista e poi due lacrime rotolano giù prima che io abbia il tempo di fermarle, cadendo rovinosamente sulla pagina aperta scritta con inchiostro delebile.
Le parole si allargano, fino a scomparire e io vorrei essere come loro in questo momento, vorrei perdermi in questo mare di domande senza risposta.
Mi guardo indietro ed è come se un soffio di vento avesse spazzato via tutte le mie radici, il mio passato, la mia storia. Chi è mia madre e chi era mia nonna? E io? Chi sono io ?
Io che ho vagato in cerca di amore tutta la vita.
“Perdonami Miranda se non ho trovato il coraggio per dirti la verità, spero che leggendo queste righe tu possa prima odiarmi e poi tornare di nuova ad amarmi, perché ti ho nascosto molti segreti, ma il bene che ti ho voluto era autentico”.
Con un gesto di rabbia faccio volare il diario dall’ altra parte della stanza, e piango così forte che penso di non riuscire più a smettere.
Le menzogne sono maschere che indossiamo anche per una vita intera, ma prima o poi arriva il momento di lasciarle cadere pur sapendo che altri pagheranno un prezzo altissimo per aver così a lungo mentito.
C’è solo una persona che non è coinvolta in tutto questo, ma che ho bisogno di vedere. Prendo il telefono e compongo il numero.
“Papà, ti prego puoi venire?”